Governo Meloni, ricominciato il balletto di violenza e di manifestazioni di tutta la "intellighenzia"
I “progressisti” non sembrano riuscire mai a raggiungere una maturità democratica
Democrazia e guerra
Karl Von Clausewitz, il famoso generale citato da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi, ha scritto che è guerra anche una lotta politica estrema.
In Italia stiamo assistendo ancora una volta ad uno spettacolo ahimè ripetitivo, da quando è nata la Repubblica, quello di un voto elettorale moderato, rimesso subito in discussione da una minoranza generalmente definita di sinistra, soccombente alle elezioni.
Avvenne già con Alcide De Gasperi, trionfatore alle elezioni del 1948 ed immediatamente dopo bersagliato da ogni genere di manifestazioni violente di piazza, scioperi ad oltranza, campagne giornalistiche diffamatorie, per cercare di imporre un diverso risultato elettorale, quello dei perdenti.
Quella volta questo gioco truce fu facilitato dal folle gesto di un cane sciolto, tal Antonio Pallante, che sparò a Palmiro Togliatti, portando l’Italia sull’orlo della guerra civile.
Quando sembrava che il clima si fosse rasserenato, ecco spuntare dal cilindro della sinistra il fasullo scandalo del SIFAR, in cui i dirigenti democristiani, con alla testa addirittura il Presidente della Repubblica Antonio Segni, furono accusati di aver tentato un golpe contro lo stesso Stato, che loro stavano autorevolmente governando.
Un golpe contro sé stessi appunto!
Poi arrivò la cosiddetta stagione del Sessantotto, cavalcata dai cosiddetti progressisti che degenerò nella lotta armata e nel brigatismo rosso, prima sposato e poi abbandonato dal PCI, quando si accorse che gli era sfuggito di mano.
Quella volta rimase sul campo, oltre alle decine di morti e di feriti, una vittima illustre, l’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone, costretto alle dimissioni sulla base della violenta campagna diffamatoria, orchestrata dalla giornalista comunista Camilla Cederna e sostenuta dal PCI e dai media compiacenti. Il poveretto fu poi completamente riabilitato, quando ormai il suo sacrificio aveva ottenuto gli scopi prefissi.
Il violento ciclone di mani pulite ha azzerato infine, il sistema democratico che aveva costruito il paese dopo la guerra, nonostante la solida maggioranza che avevano in quel momento in Parlamento, i partiti del centrosinistra.
Ben cinque ex Presidenti del Consiglio: Giulio Andreotti, Arnaldo Forlani, Giovanni Goria, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, tutti contigui all’area moderata, sono stati incriminati penalmente, unico caso nella storia del mondo occidentale. Silvio Berlusconi poi, plurivittorioso nelle urne, fu scacciato da Palazzo Chigi e dal Senato, da una congiura in cui si mischiavano interessi politici, economici, mediatici ed internazionali.
Le rivelazioni dell’ex Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara, hanno messo nero su bianco, gli intendimenti politici dei magistrati che hanno condotto tutte quelle azioni giudiziarie. Un chiaro caso di tradimento delle istituzioni, i cui responsabili non sono mai stati perseguiti.
Dopo la clamorosa vittoria di Giorgia Meloni nelle ultime elezioni politiche, sembra stia ricominciando il tragico balletto, condito di screditamento, di violenza verbale, di manifestazioni di piazza, di scioperi, di mobilitazioni dei centri sociali e di tutta la cosiddetta intellighenzia, nelle scuole, nelle Università, sui social, nella stampa e sulle televisioni “progressiste”. Risuonano le solite accuse stantie di fascismo, di razzismo, di disprezzo degli ultimi, accompagnate da un’ossessiva richiesta a raffica di dimissioni per tutti e per tutto. Ciò rappresenta un’umiliazione dello Stato di Diritto e della Democrazia, una guerra guerreggiata e non dichiarata, che sfianca le istituzioni e colpisce al cuore la Costituzione.
I “progressisti” non sembrano riuscire mai a raggiungere una maturità democratica, laddove non essere d’accordo non significa imporre il proprio pensiero, laddove dissociarsi dall’azione di chi governa, non significa sostituirlo senza un voto popolare.
Giuseppe Dossetti, fondatore della Democrazia Cristiana insieme ad Alcide De Gasperi ed esponente dell’ala più a sinistra di quel partito, quando lasciò la politica attiva per farsi sacerdote, nel discorso di commiato disse: “Mi sono convinto in tutti questi anni, che la democrazia è l’arte di fare opprimere il popolo, dal popolo, nell’interesse del popolo”. Non è solo uno scioglilingua, ma una riflessione profonda di uno che di popolo se ne intendeva parecchio!
di Pierfranco Faletti