Niccolò Rinaldi: "Per i marocchini ero nella lista dei cattivi"
Niccolò Rinaldi, presidente dei Repubblicani Europei e candidato al Senato in quota repubblicana nelle liste del PD Italia Democratica e Progressista alle ultime elezioni, nel 2009/2014 era deputato europeo, vice-presidente del gruppo dei liberal-democratici. Si è ora ritrovato coinvolto nel cosiddetto Maroccogate ma in un modo positivo, come tra i pochi deputati che resistettero alle pressioni di quel paese.
Lei per i marocchini era nella "lista" dei cattivi. Ci può raccontare come è andata?
Dalle ricostruzioni giornalistiche basate su documenti dell’ambasciata marocchina, ero stato preso di mira per la mia linea intransigente su alcune questioni. Una era l’accordo di pesca, che osteggiavo mentre molti ne volevano ampliare l’applicabilità anche ad acque non riconosciute come marocchine. La lobby fu molto attiva e purtroppo il voto finale mi vide in minoranza. Ma per il Marocco fu una vittoria di Pirro, perché poi la Corte di Giustizia europea riconobbe le nostre ragioni e invalidò l’accordo così votato. Un’altra vicenda fu il trattamento riservato a una delegazione di quattro deputati europei che si era recata in Marocco, dove doveva avere incontri per poi proseguire verso i territori del Polisario. Sbarcati a Casablanca, i quattro colleghi furono rimandati indietro in Europa, nonostante la trasparenza della loro agenda. Il capodelegazione era un collega del mio gruppo, già ministro degli esteri sloveno, persona riflessiva e tutt’altro che una testa calda, ma che tornò ferito dal trattamento ricevuto. In quanto vice-presidente liberal-democratico con la delega per il coordinamento delle politiche estere, chiesi che il Parlamento, come peraltro è prassi in questi casi, adottasse misure forti, anche con un gruppo di lavoro che chiarisse il ruolo della lobby marocchina. Il fatto che appartenessi al terzo gruppo politico del parlamento, e che fossi stato favorevole ad aumentare le relazioni commerciali col Marocco, dava maggiore credibilità alla mia azione, e quindi la rendeva più pericolosa per qualcuno.
Ma esattamente cosa accadeva, cosa percepiva intorno a lei?
Mi trovai allora in una situazione strana: tra colleghi che
improvvisamente non si presentavano a riunioni, accenni ambigui di
altri, dichiarazioni poi contraddette dal voto. Qualcosa non tornava
ma restava impalpabile. Alla fine, comunque, il Marocco la ebbe
vinta.
Che idea si è fatto di quanto accaduto?
Primo: contenuti precisi di riunioni a porte chiuse sembra che siano
stati a disposizione di un’ambasciata, che evidentemente aveva i
suoi informatori. Secondo: a leggere le ricostruzioni giornalistiche,
si sarebbe organizzata una rete ben orchestrata di parlamentari di
vari gruppi, in posizioni estremamente influenti e tutti pronti a
sostenere le ragioni di un paese contro l’interesse dell’istituzione.
Da quel che si sa per ora, non vi sarebbero stati fenomeni di
corruzione diretta, ma resta la mancanza di etica nel rispondere ad
ambasciate anziché agli interessi europei, a prestarsi a far parte di
gruppi privi di trasparenza, ad approfittare di probabili vantaggi che
possono avere molte forme diverse – “gruppi di amicizia” che
diventavano cenacoli molto opachi, inviti a conferenze che si
trasformavano in brevi soggiorni vacanza, contatti riservati che
diventavano privilegiati, contributi a pubblicazioni o
all’organizzazione di convegni, e via dicendo. Da quel che sapessi
io, niente che violasse la lettera delle regole, ma, appunto, una
debolezza di anticorpi etici che non poteva che preparare la strada
a un grande corruttore che sarebbe poi arrivato.
Ma quali i rapporti tra lo scandalo Marocco e quello Qatar?
La vicenda marocchina probabilmente è servita da apripista a
quella del Qatar: del resto, alcuni dei nomi implicati si ritrovano in
entrambi i filoni. Si era capito come fare per fare breccia nei
processi decisionali del Parlamento Europeo, e forse anche a chi
affidarsi per arrangiare in un certo modo le cose.
Qualche responsabile in particolare?
La responsabilità in questi casi è collettiva: dei partiti e dei gruppi
politici che spesso possono immaginare quello che potrebbe
accadere ma rimangono inerti in nome dell’autonomia politica
dell’eletto, dei media che si dimenticano dell’importanza internazionale del Parlamento Europeo, degli stessi elettori che
danno voti di preferenza senza informarsi troppo. Ma alla fine, la
vera responsabilità, e lo dico da repubblicano, è dell’individuo che
deve rispondere delle proprie scelte, sapendo bene ciò non solo
che è lecito ed illecito, ma anche ciò che è opportuno e
inopportuno.
Come finirà il Qatargate?
Per modalità e molto altro, il Qatargate è cominciato per me come
una deprimente sorpresa. E temo che finirà con altre. Ma non con il
solito “tutto cambia, niente cambia”. L’istituzione è forte, i cittadini
non l’abbandoneranno, e la fine deve essere una democrazia
ancora più forte.
Quali sono gli "anticorpi" che l'Europa ma più in generale il
mondo occidentale può e deve adottare per evitare episodi
analoghi in futuro?
Per un repubblicano, l’idea di Occidente è indissolubilmente legata
a quella dello stato di diritto, e l’impegno politico a quella del servire
la propria comunità. Da Presidente del Consiglio, Spadolini dichiarò
che “la politica non è soltanto l'uso del potere; la politica è anche -
come la concepiamo appunto nel filone del primo e del secondo
Risorgimento - l'esercizio di una missione, il compimento di un
dovere civile, l'assolvimento di un mandato pubblico.” Possiamo
avere tutte le regole che vogliamo, ma senza questo tipo di
fondamento etico nel comportamento individuale, l’Europa non avrà
mai abbastanza anticorpi. Detto in altre parole: si dovrà lavorare ai
codici delle istituzioni, alla cooperazione giudiziaria internazionale,
ad altri aspetti che appartengono all’identità delle nostre
democrazie, ma ancora di più al rendere l’Europa una terra nella
quale la classe politica, che sia indifferentemente di destra o di
sinistra, faccia di quella morale una questione di identità tanto
personale quanto di partito.
Quanto accaduto a Bruxelles è solo una parte della sfida più
ampia tra democrazia ed autocrazie. Pensa che nei prossimi
anni potranno venire fuori situazioni simili magari causate da
altre nazioni?
Non la metterei in termini di scontro fra blocchi. La novità del caso marocchino è che sarebbe il primo caso noto nel quale il corruttore è un paese terzo, e nemmeno un’autocrazia, ma un alleato, una monarchia con una promettente democrazia. In quella vicenda, e probabilmente anche in quella legata al Qatar, alcuni dei rappresentanti del mondo occidentale non si sarebbero comportati meglio di certi comportamenti stereotipati che affibbiamo volentieri ad altri. Nella crescente inter-dipendenza tra blocchi, nel ruolo sempre più spiccato nel mondo dell’Europa, è prevedibile che si ricorra sempre di più all’“ogni mezzo” pur di esercitare la propria influenza. Riguarda stati ma anche settori economici, il dentro e il fuori dell’Europa. Quello che non cambia, da millenni, è la fatale attrazione del denaro che ad alcuni, a ogni latitudine, fa perdere la testa. E alla fine, anche di quella vicenda marocchina, questa può essere la lettura finale.