PD, Elly Schlein vuole cambiargli nome: altro che contenuti e valori
Davvero qualcuno può pensare seriamente che si tratti di una questione legata soltanto al nome?
Elly Schlein, nuova vestale della new left postmoderna e neoliberale, ha sostenuto con enfasi che è giunto il momento di cambiare nome al Partito democratico. Non ha detto che occorre cambiare radicalmente la linea, le posizioni e la visione del mondo. No, la priorità è quella di cambiare il nome. Sarebbe interessante domandarle se ella ritiene che l'insuccesso crescente di un partito sempre più distante dal popolo è sempre più vicino alla visione del mondo dei dominanti dipenda davvero soltanto dal nome poco azzeccato. Che il Partito democratico stia producendo insuccessi su insuccessi affiora limpidamente non solo dal risultato delle ultime elezioni, ove risultato pesantemente sconfitto, ma anche dal crollo verticale dei tesserati dal 2007 ad oggi: si parla di un passaggio da più di 600.000 iscritti ad appena 50.000 iscritti oggi. Davvero qualcuno può pensare seriamente che si tratti di una questione legata soltanto al nome? La verità comprensibile anche un bambino è che il Partito democratico teoricamente sarebbe erede di quel grande e nobile Partito comunista che difendeva i lavoratori e le classi popolari, opponendosi alla visione dei gruppi dominanti. Il Partito democratico ha voltato le spalle a questa tradizione e sotto questo riguardo rappresenta il meglio le sinistre neoliberali che dal rosso sono passate al fucsia, dalla falce e martello all'arcobaleno. Insomma, le nuove sinistre glamour che hanno aderito al verbo della globalizzazione neoliberale e del suo imperialismo statunitense di completamento. Parafrasando il vecchio Nietzsche, potremmo dire che sono divenute ciò contro cui combattevano. Mutare il nome lasciando il contenuto significa fingere di risolvere il problema, cambiando l'etichetta ma non la sostanza. Non è poi difficile da capire, in verità.
di Diego Fusaro