Covid-19, Meloni dice: mai più lockdown, ma una circolare ministeriale ipotizza obbligo di mascherine, lavoro da casa e divieto di assembramenti
La premier garantisce quel rispetto della libertà, fondato sul buon senso, totalmente travolto coi governi di sinistra; ma troppi segnali spingono a dubitare delle buone intenzioni del nuovo potere.
Mi hanno fatto notare che il premier Meloni ha dichiarato la libertà imprescindibile, assicurando che non torneranno i tempi lugubri del lockdown. Lo so benissimo, ma debbo fidarmi? Questo l'hanno detto sempre tutti, massime quelli che la libertà la difendevano a parole mentre la negavano nei fatti. Cosa mi dovrebbe far pensare che questa volta sarà diverso? Giorgia Meloni sarà anche sincera, ma io di tempo per illudermi non ne ho più. Sotto Draghi ha praticato una opposizione fantasma, non ha mai davvero contestato misure allucinanti, non si è compromessa coi “novax” (anche se il gioco democratico, scorrettissimo, cialtronesco è di accusarla in questo senso), ha scelto un ministro della Salute ambiguo, che pare morso dalla voglia di continuare la miserabile opera del predecessore. Lei sarà sicuramente convinta, ma quanto capace o disposta di resistere a un sistema di marmo? Già che sui vaccini abbia invitato la gente a rivolgersi al proprio medico, è dichiarazione ambivalente: benissimo se letta come una sacrosanta astensione del potere da scelte individuali (difatti Repubblica, foglio di regime, l'ha subito contestata), meno bene se si considera che i medici sono stati nella quasi totalità complici, volontari o meno, del disastro messo in atto da Speranza. È un rispetto della libertà personale o un lavarsene le mani?
Intanto, mentre il primo ministro garantisce un punto e a capo, il ministero deputato prepara un punto e di seguito: nella circolare appena emessa dalla Sanità si torna a vagheggiare l'obbligo all'esterno, senza trascurare vecchie aberrazioni quali il lavoro da casa e il divieto di assembramenti “in caso di sensibile peggioramento della situazione”. I termini, come si vede, sono vaghi, al solito: dovremmo confidare, lungi dal temere?
La Cina rilancia la pandemia fantasma, questa volta senza chiusure ossessive, almeno per il momento: ha bisogno di recuperare su un passo economico improvvisamente fattosi ansimante, e assai più corto del previsto. Forte è il sospetto che il Partito Comunista Cinese giochi allo sfascio per spingere altri paesi a nuovi lockdown, in modo da poter bloccare esportazioni e distribuzioni altrui a tutto beneficio delle proprie (poi, tornare a rinchiudere tutti quando sarà ritenuto opportuno, è un attimo: la dittatura comunista non si pone problemi di democrazia, legittimità o immagine internazionale; risponde solo a se stessa). In Italia, il partito di Speranza, in effetti di Draghi-Mattarella, è tuttora fortissimo, sia fra le istituzioni che nei media: non vedono l'ora di tornare alle città vuote, agli spettri, alla desertificazione. Hanno subito gettato manciate di terrore su varianti inesistenti, su contagi gonfati ad arte (5000 al giorno in un subcontinente da 1,4 miliardi di persone), la cui pericolosità è unanimemente definita bassissima. “Sì, ma non bisogna abbassare la guardia”, dicono i filoterroristi sanitari, con la solita formula che anticipa il regime. Gli scappati di casa, i falliti, le nullità in camice, chi più chi meno candidate dal PD, si sono subito scatenate come ai bei tempi. E l'opinione pubblica, interdetta, istupidita da 3 anni di propaganda delittuosa, li ascolta. Meloni avrà le spalle abbastanza forti per reggere tutto questo? O la sua battaglia di principio svanirà al primo confronto con la realpolitik? In questi casi si scomoda la canzone, “lo scopriremo solo vivendo”, andrebbe anche bene una cauta fiducia, ma il fatto è che niente autorizza ad investire in nuove illusioni.
Quanto a Mattarella, incombe il suo sermone di fine anno. Cosa dirà? Ma cosa volete che dica. L'uomo lo conosciamo bene, in nove anni di prediche non ha mai sviluppato l'ombra di una autocritica e dire che il garante del disastro sanitario è lui. Disastro a trazione cinese, per il quale, ecco un paradosso interessante, quelli che difendevano la strategia drastica della dittatura asiatica sono gli stessi a denunziarne, oggi, le conseguenze, nel contempo spingendo perché quella strategia venga subito ripresa. “Quelli” sono la cosca pseudosanitaria che ci ha rovinato in tre anni e rispondono ai nomi, solo per farne pochi, di: Speranza, Ricciardi, Burioni, Pregliasco, Galli, Abrignani, Rezza, e gli altri appiccicateli voi. Cosa potrà mai dire Mattarella? Che, dopo essersi fatto 4 dosi e subito contagiato a teatro, ne vanno fatte altre 4, o quaranta; che la libertà alla fine è egoismo e, alla bisogna, va sacrificata sull'altare della sicurezza; che, la UE emergendo come un colossale comitato di affari, di preferenza loschi, “ci vuole più Europa” (sia pure, certo, correggendo, sicuro, adeguando, chiaramente, vigilando, bla bla bla); che, ritrovandoci come siamo sotto invasione di extracomunitari, con tutte le conseguenze che sappiamo, siamo tenuti ad imbarcarne di più, molti di più, sempre di più; che le ONG, rivelatesi come sistemi loschi per far soldi, per sviluppare lobby, vanno protette, tutelate, difese, mai discusse. E che loro, cioè lui, non hanno mai sbagliato. Circa l'attuale primo ministro, non lo nominerà, se non per allusioni, molto interpretabili, molto, ma non troppo, cripitiche, del genere “se non fili dritta, camminerai con le stampelle”.
Ancora una volta. A che pro farsi illusioni? L'uomo è questo, e il presidente è l'uomo. Poi possiamo cavarcela come l'intervistato-tipo del telegiornale, tutto “speriamo bene”, che è la formula di chi non sa più cosa sperare, a che santo votarsi. Solo che a chi mette insieme i fatti e i segnali per leggere la realtà, lo speriamo bene non è lecito, non è una soluzione praticabile. Contano i precedenti, vale lo scenario complessivo, la conoscenza dell'ambiente (specie quello legato all'informazione) e quella dei fatti medici, infine, depone la consistenza sociale.
E allora, si vede che da sperar bene c'è poco o niente. L'allarme cinese venne sottovalutato tre anni fa e viene sopravvalutato adesso, ma il risultato resta identico, almeno nelle intenzioni: bloccare, mascherare, tamponare, chiudere. E, soprattutto, bucare, drogare, sierare fino a demolizione dell'individuo. Alla fine, certo, tutto si risolve in una decisione personale: resistere o arrendersi. Questa volta, però, dovremo ribellarci e non a parole. Perché una cosa è certa, possono dire quello che vogliono, chiunque può dire quello che vuole, ma il nuovo lockdown è lì, sullo sfondo, nell'armadio, si aspetta solo di tirarlo fuori, dargli una scrollata e, preparato dalla solita escalation, mascherine obbligatorie – smart working – divieto di radunarsi – manipolazione dei dati, stenderlo di nuovo, ancora impregnato di odore di naftalina. Facendo naturalmente osservare che “la situazione è mutata”, “non possiamo più permetterci di indugiare”, “ce lo chiede la scienza”. Intanto già annunciano: il paese si prepari. Una minaccia bella e buona. No Giorgia, no Giorgia, io non ci casco, tu con la democrazia non vai più d'accordo di Speranza. E non vorrai durare meno di lui.