Montesano e la maglietta della “Decima”: ce n'era bisogno? No, come non c'era bisogno che la RAI lo cacciasse. Ma è convenuto a tutti
Tutti guardano il dito della maglia, fascista, non fascista, ma la sostanza sta altrove e va detta: qui c'era la provocazione senile di una vecchio istrione che i partiti se li è girati tutti. E nascondersi dietro il nozionismo da Settimana Enigmistica serve a poco: i simboli vivono per come si declinano nel tempo, il resto sono chiacchiere da show o da opinionisti che, a destra come a sinistra, truccano le carte.
Montesano, ce n'era bisogno? Se ne stanno occupando tutti, facciamo pure noi lo stesso errore, cercando se possibile di guardare alla luna anziché al dito. Non c'era bisogno di Montesano, non c'era bisogno della sua strampalta maglietta, non c'era bisogno della cacciata della Rai, non c'era bisogno della solita Lucarelli che è l'ultima a poter fare la morale, non c'era bisogno delle lenzuolate susseguenti. Ma, più di tutto, non c'era bisogno del ditino alzato di quelli che da una parte si scandalizzano puntando alla Costituzione (che negli ultimi tre anni hanno visto ridurre a carta igienica senza scomporsi), dall'altra vengono ad insegnarti che la “Decima” non è fascismo ma appartiene alla memorialistica della Grande Guerra. Ma sì, abbiamo fatto il liceo, ci arriviamo anche a noi alle sacre memorie della X-Mas, Solferino, San Martino, il Piave e il nazionalismo patriottardo bellicista alla cui seduzione perfino Gramsci cedeva, presto seguito da Mussolini che all'inizio era non interventista, eccetera, eccetera. Ma siamo seri: un simbolo vive per come viene consumato e oggi, piaccia non piaccia, quello della “Decima” si identifica col regime fascista. Metterla sul piano della cultura didascalica, da scuola dell'obbligo, è una guittata fatta e finita, distogliere i simboli dalle rispettive contestualizzazioni è patetico; hai un bell'andare su Wikipedia ad imparare che la svastica ha a che fare coi simboli religiosi preistorici, col sanscrito e il culto del sole polare, la sostanza è che quando se ne appropria il nazismo diventa il suo simbolo. E non puoi non tenerne conto. E se giri con la svastica in fronte, come faceva Charles Manson, e passi per nazi anziché per adepto al culto solare, te ne devi fare una ragione. Il simbolo, l'icona, ha una sua potenza mitica che va oltre le definizioni, oltre le spiegazioni.
Se è per questo, lo stesso Fascismo inventò poco, l'intera sua iconografia era ricalcata su quella romana; ma se si parla di labari, di gladii e di fasci littori non vengono in mente Giulio Cesare, i leoni e il Colosseo ma una dittatura assai più vicina a noi. A questo punto, per l'amor del cielo, si lascino in pace Nietzsche, Wagner, titanismo, superomismo e Signore degli Anelli che furono, che sono una faccenda sideralmente diversa, incomparabile, da maneggiare con cura per quanto complessa. Se si pensa che Tolkien è passato dai campi Hobbit dei giovani neofascisti degli anni '80 alla riscoperta in chiave marxista: giochi intellettuali che lasciano il tempo che trovano, ma anche disseminati di trappole per gli apprendisti nozionisti da Settimana Enigmistica.
Se io voglio criticare, e difatti lo critico, quel paraculo di Vauro quando in televisione sfoggia la medaglietta con la stella a 5 punte e ha il coraggio di dire che quel simbolo “ha salvato milioni di vite”, quando in realtà le ha soppresse, è perché alla sua cialtronaggine, misera, sottoculturale, anticulturale, non ci sto e ho fondate ragioni per non starci. Anzi, mi sovviene qui un aneddoto tutto personale, che però casca giusto giusto, è quasi inevitabile. Essendomi occupato per lunghi anni di cronaca su un giornale musicale, finivo per conoscere parecchi del circuito cosiddetto indipendente, tra questi artisti lontanissimi per inclinazione politica, essendo comunisti marmorei o così almeno si percepivano, in realtà gentiluomini di campagna dalla compagnia piacevolissima. Fino a che non salivano sul palco, però. Era così bello (come direbbe Giorgio Caproni) starsene in camerino a lasciarsi sfuggire confidenze, ad affidarsele reciprocamente con la fiducia che solo i veri amici nutrono, retroscena fatti anche di amabili pettegolezzi su questo e quello del giro, comuni conoscenze umane, troppo umane nelle loro doppiezze: il cantante da battaglia, cuor di compagno, che diceva “devo fare almeno centocinquanta milioni quest'anno, io mi merito di vivere bene”, piccole miserie riscaldanti come la legna ardente nel camino. Fino a che qualcuno non veniva col fatidico avviso, “mancano 5 minuti”. Allora i miei amici perdevano l'aria dei gentiluomini di provincia, infilavano trafelati i vestiti di scena e, sopra, il medaglione con la stella sovietica. Poi irrompevano sul palcoscenico a pugno chiuso: “Buonasera compagni, la lotta continua!”. Ovazione. Io non sapevo se ridere o piangere, ma ridevo perché gli volevo molo bene.
I nomi non li faccio neanche sotto tortura, ma è per dire che i simboli vivono più degli uomini, li determinano, li seppelliscono. E non c'è niente che si possa fare. Quindi, bocce ferme. Niente trucchi. Il redivivo Montesano sapeva benissimo cosa andava a sfoggiare, ciò che simboleggiava, come sarebbe stato percepito: cercava lo scandaletto, l'ha trovato, la Rai a sua volta sapeva benissimo della sciocca magliettina di questo semiottantenne ed è stata zitta, saggiamente, fino a che non è piombata, come un elefante nella cristalleria, la solita Lucarelli in foia di titoli. Tutti contenti comunque, chè già la manomorta di Memo su una cantante fallita si era esaurita e c'era bisogno di nuove chiacchiere: come sempre, il senso di tutto è la concorrenza con Maria de Filippi, un'altra che a trash non è seconda a nessuno, e la pubblicità che i due programmi si strappano in ragione degli ascolti.
Ma su Montesano le lune solo almeno altre due. La sua provocazione senile, anzitutto, finisce per portare acqua al mulino degli ipocriti che dicono: i novax sono tutti fascisti, buttando tutto e tutti nel mucchio. Questi fanatici provax sono in difficoltà, le loro profezie, il loro fideismo ottuso, il loro servilismo ideologico si sono miseramente frantumati contro muri di realtà, ma con uscite demenziali come questa possono ancora rifugiarsi nell'angolo del disprezzo, contro i complottisti, i fissati, i maniaci, che se mai sono loro. Certo che se dall'altra parte, però, si usano comportamenti simili... Non basta: la magliettina da nostalgico è sembrata a qualcuno un mezzo un po' scombinato per mandare segnali, in particolare al nuovo potere di Giorgia Meloni, che tuttavia, avendo 45 anni e un miliardo di problemi da risolvere, sai quanto può appassionarsi alle sudate fregole di un anziano istrione che, prima, è passato: per il PSI (con tanto di inno propagandistico insieme alla Equipe 84), il PDS (consigliere comunale a Roma, poi europarlamentare), Forza Italia con tanto di sviolinata plateale in diretta televisiva all'allora direttore generale RAI Flavio Cattaneo (il quale ne fu talmente imbarazzato da non sapere dove guardare), la Fiamma di Alemanno sindaco, un misconosciuto Movimento Libertario, il Movimento 5 Stelle per il quale fu adepto della prima ora, salvo sfaldarsi in schegge di negazionismo totale dal Covid al 5G. Tutti se li è girati. Più che un vizio, un'esigenza fisiologica quella di trovare sempre nuovi riferimenti partitici. Talmente organico a tutto, da risultare davvero autonomo: come fai a ricondurlo a un servilismo? Stavolta però sembra davvero l'epilogo, che brutta fine, povero Pomata. Ecco perché la magliettina da arditista lascia immaginare mai sopite attitudini (a proposito: si scomoda anche d'Annunzio, per dire che la Decima non sarebbe più fascista de la Rinascente: suo, come sanno i semicolti, il motto per lunità militare della Regia Marina Italiana, “memento audere semper”, e sua la griffe per la preclara catena di grandi magazzini. Che c'entra dunque col fascismo? Sì, ma d'Annunzio fascista lo fu e come, sia pure al suo modo egolatrico e pasticcione, al punto che di lui Mussolini diceva: è come un dente cariato, o lo strappi o lo copri d'oro. Siamo sempre alle manipolazioni della cultura aneddotica che lasciano il tempo che trovano, la sostanza declinandosi in modo capriccioso ma inequivocabile).
Ultima l'una, tonda come un cerchio che si chiude, quella del moralismo: ad attaccare Montesano, onusto di ruoli e militanze, è stata, come detto, Selvaggia Lucarelli, una contro i poteri forti per autodefinizione, talmente contro che ci sta costantemente dentro. Ma che gli fa? La faccenda davvero deliziosa, è che Lucarelli e Montesano, divisi dal vax e dalla politica hanno in comune almeno questo, parenti, familiari che lavorano nel carrozzone di Ballando con le stelle: lei un fidanzato ballerino, molto più giovane, lui un figlio che fa lo scenografo. Ma, si sa, familisti, per giunta amorali, sono sempre gli altri.