Trasformismo della politica italiana, quando il "cambio di casacca" non è coerente. E non è neanche riconosciuto dall'elettore

Numerosi parlamentari hanno cambiato il partito di cui facevano parte per essere rieletti, rinunciando all'eticità dell'interesse collettivo e della politica. Ma non è detto che vengano sempre premiati nelle urne

Il trasformismo ha una lunga e controversa storia nella politica italiana, dalla sua emersione dopo il 1880 nel regno d’Italia, al record di oltre 400 cambiamenti di gruppo di parlamentari nella legislatura in corso, assurto a fenomeno eclatante per quantità e rapidità di "cambiamento di casacca" in occasione della caduta del governo Draghi e di fissazione delle elezioni del prossimo 25 settembre.

Sembra lontano il tempo, che invece è recente, in cui stava avanzando in vari partiti, di tutti gli schieramenti, che avevano appoggiato governi lesi da operazioni trasformistiche, l'orientamento di introdurre modifiche all'articolo articolo 67 della costituzione che stabilisce che il parlamentare "rappresenta la nazione" e agisce "senza limite di mandato" non rispondendo così ai partiti.

Se il cambio di gruppo o partito è sempre stato legittimo costituzionalmente, come lo era nella vigenza dell' art 41 dello statuto albertino poi recepito dalla nostra costituzione repubblicana di ispirazione liberaldemocratica, ben diversa è la valutazione della scelta del parlamentare sul piano della coerenza, dell’aderenza al mandato ricevuto dall'elettore, dell'interesse collettivo e anche dell’etica politica.

Quel che consente all'elettore di valutare tali aspetti del cambio di casacca, e soprattutto la eticità dell'atto per assenza di un interesse personale esclusivo o prevalente, è il contesto storico, il tipo di elezione, la motivazione e il momento della scelta.

Nell'ottocento il trasformismo era comune a destra e sinistra ed il parlamentare non apparteneva a partiti politici, che non esistevano, e rispondeva solo al proprio elettorato ed era naturale un comportamento di tutela clientelare che comportava mutazioni nella formazione di maggioranze.

Così come dopo la introduzione dei collegi uninominali era ovvio considerare gli eletti nei listini proporzionali come mandatari dei partiti, con maggiori obblighi di fedeltà al programma ed al partito designante rispetto all'eletto in un collegio uninominale,  espressione spesso di una coalizione e rispondente agli interessi del territorio di elezione.

È chiara poi la differenza tra chi ha scelto di cambiare gruppo o partito nel corso della legislatura per mutamento di propria opinione o per scelte diverse dal programma elettorale del gruppo di appartenenza, o addirittura per mutare schieramento   ritenendo che una nuova configurazione del quadro politico potesse essere più adeguata a tutelare l'interesse collettivo e far proseguire la legislatura in modo più proficuo, e chi invece ha cambiato “casacca” in occasione della caduta del governo Draghi, ora in proroga per affari ordinati ed urgenti, con elezioni fissate a due mesi.

Tutti i cambi di casacca, o addirittura creazioni di nuovi partiti da parte di decine e decine di parlamentari, avvenuti in questo contesto, pur giustificati con nobilissime e alte argomentazioni, hanno invece un duplice vizio.

Da un lato non sono funzionali a spostare di una virgola l' agire di governo e parlamento, che non possono operare scelte nuove, ma solo attuare quelle già prese e adottare provvedimenti imposti da trattati e accordi internazionali.

Dall’altro creano il sospetto di essere stati decisi non già per il perseguimento dell'interesse della nazione o solo degli elettori di riferimento, ma esclusivamente a scopo di interesse personale.

Ed in particolare per attuare o tentare un riposizionamento che consenta la propria rielezione.

E ciò soprattutto da parte di chi, anche avendo posizioni di governo o rilievo attuale, sapeva che per regole di partito o mancata vicinanza alla reggenza del partito di appartenenza, non sarebbe stato ricandidato o rieletto rimanendo nel partito cui apparteneva.

Però, siccome l' elettorato è attento più di quanto molti politici pensino, e apprezza coerenza tra promesse e azioni, lealtà, e anche la riconoscenza, anche se trattasi di categoria lontana dal mondo della politica, non è detto che tali cambi di casacca vengano premiati in sede elettorale.

Potrebbe così essere vanificato lo scopo del cambio per il singolo, o che anche il partito che di tali migrazioni abbia fruito in modo rilevante, possa ricevere danno anziché beneficio dai nuovi innesti.

Di Sandro Trevisanato