Molinari, La Repubblica: “La prossima sfida per Draghi? Appianare le diseguaglianze sociali”
Maurizio Molinari, direttore de La Repubblica a Il Giornale d’Italia: “La seconda parte del mandato di Draghi si sposa all’emergenza sociale sulle diseguaglianze. Difficile dire se riuscirà in quest’impresa. Siamo in una fase di ridefinizione dei sistemi: quello delle relazioni internazionali e delle funzioni democratiche”
Il governo Draghi ha compiuto un anno e tanti equilibri politici e sociali sono cambiati da allora. Si sono susseguite le difficili trattative europee per il PNRR, i dibattiti su riforme cruciali – come quella della giustizia - , la partita per il Quirinale - conclusasi con una scelta di unità nazionale - e le diatribe interne alla maggioranza. Marco Antonellis ha parlato di questi primi dodici mesi di governo con il direttore de La Repubblica, Maurizio Molinari, per Il Giornale d’Italia.
Reggerà il governo Draghi fino al 2023 o riscontrerà qualche problema nei prossimi mesi?
«Il Governo reggerà, non c’è un’alternativa a questo. Anzi, la debolezza dei partiti rafforza lo spirito di governo. Credo che questa sia la strada, in qualche maniera obbligata, grazie alla quale Draghi riuscirà a portare a termine quest’ultimo anno per realizzare il PNRR e il patto di stabilità, i temi cruciali per il futuro economico del Paese. Paradossalmente, i partiti che da una parte bisticciano, dall'altra hanno interesse a raccogliere più risultati possibili per poi incassare».
In questi giorni si è celebrato il primo anniversario del Governo Draghi, che è stato sicuramente in grado di rilanciare il Paese. Complessivamente, come giudicheresti questi primi 12 mesi? Draghi avrebbe potuto fare di più?
«Si tratta di un governo di emergenza, un obbligo oggettivo di fronte alla pandemia e alla necessità di ricostruzione economica. Nell’ultimo miglio da percorrere, cioè la seconda parte di quest’anno, sarà obbligato ad appianare le disuguaglianze. Giudico positivamente il governo Draghi, perché fa i compiti a casa che l’Italia non riuscirebbe a fare. Siamo un Paese che o procede in emergenza o non ce la fa».
Con il Mattarella bis si creato una sorta di precedente che, infuturo, potrebbe finire nelle mani sbagliate. La rielezione, infatti, potrebbe dare la possibilità a qualcuno di fare campagne elettorali o accordi di colazione con forze politiche, stravolgendo il ruolo e la funzione del Capo di Stato. Cosa pensi in merito alla situazione?
«Credo che la svolta sia stata la pandemia, che ha creato una situazione paragonabile solo a un dopoguerra. I partiti in Italia non sono in grado di far fronte a questo tipo di emergenza, per cui la soluzione è stata quella dell’unità nazionale, che appartiene in parte alla storia del Paese, come avvenuto con l’uscita dalla Seconda Guerra Mondiale. In questo caso, però, la seconda parte del mandato di Draghi si sposa all’emergenza sociale sulle diseguaglianze descritta da Mattarella, la più difficile da superare, perché si tratta di sanare un disagio creatosi non solo per causa della pandemia, ma anche per effetto delle diseguaglianze. Se riuscirà a Draghi in quest’impresa? È veramente molto difficile da dire, perché si tratta di un problema di rilegittimazione delle istituzioni democratiche, oltre che di un disagio della popolazione.
La sfida è fare in modo che le istituzioni proteggano i cittadini da migranti, diseguaglianze e corruzione. Secondo me il grande pregio di Mattarella è aver indovinato il tema, lo stesso per tutte le democrazie. Si tratta di una questione molto difficile da affrontare per le istituzioni, motivo per cui il paese resta in bilico».
Putin darà il via all’escalation in Ucraina o si fermerà a un metro dal burrone?
«Credo che una crisi molto simile sia stata quella dei missili di Cuba: oggi la Russia, come all’epoca l’Urss, esercita il massimo della potenza per ottenere un risultato strategico. Nel frattempo, l’Occidente svela le mosse della Russia per fare in modo che resista. All’epoca funzionò, ora è un punto interrogativo. Sicuramente l’Occidente guidato da Biden sta reagendo in maniera più compatta rispetto a quanto avvenuto, ad esempio, nel periodo dell’Afghanistan. Siamo in un momento di passaggio, ma la richiesta della Russia è quella di creare un equilibrio di sicurezze, sta chiedendo più rispetto. C’è qualcosa in comune fra i due processi di trasformazione di cui stiamo parlando, perché in entrambi i casi siamo in una fase di ridefinizione dei sistemi: quello delle relazioni internazionali e delle funzioni democratiche. È questa la fase di guerra in cui ci troviamo. Come si tratta di ridefinire le istituzioni di un paese democratico per affrontare le insidie delle disuguaglianze, così si ridefiniscono gli equilibri internazionali, facendo fronte a Russia e Cina che chiedono più spazio. Questo processo può avvenire in maniera indolore o passare attraverso momenti molto drammatici».