Scalata Mps-Mediobanca, un’altra indagine “alla memoria

Tra intrecci azionari, governance opaca e politica di contorno, la vicenda conferma la distanza tra diritto e finanza

Ma guarda, allora c’era un concerto? Ebbene, la Procura di Milano, sul caso della scalata del Monte dei Paschi di Siena a Mediobanca, s’è accorta che forse in essa c’è stato un concerto, ossia un’intesa ufficiosa anche se negata alle istituzioni e al mercato tra la banca senese e due altri soggetti finanziari, il Gruppo Caltagirone e la famiglia Del Vecchio, che controllavano e controllano quote importanti sia in Mediobanca che nella principale società partecipata da Mediobanca, ossia le Assicurazioni Generali.

Innanzitutto, un cordiale: “Ben svegliata!” alla Procura di Milano. Elementi per sospettare c’erano da sempre, e ricorderemo come e perché. Ma poi una doverosa precisazione: tutta questa faccenda dell’indagine non è una cosa seria. È una pantomima burocratico-giudiziaria priva di sostanza, ossia incapace di ripristinare eventuali diritti violati, irrilevante rispetto all’eventualità di giungere a pene per eventuali colpevoli, insomma è una fastidiosissima ma vana rappresentazione.

Conferma della triste realtà di un diritto sideralmente lontano dal mercato, di una magistratura strutturalmente inefficiente e di un mercato strutturalmente opaco. Proviamo a capire perché. E facciamolo – chi legge ci perdonerà – ripubblicando un brano di un articolo comparso su “Investiremag.it” il 5 febbraio scorso, dal titolo: “Monte-banca, nessun concerto. Ma gli orchestrali se la intendono bene”.

Leggiamo:

“Signori, a tutto c’è un limite. Il Paese legale va da una parte, quello reale dalla parte opposta. Va detto: almeno va detto. Il Monte dei Paschi, legittimamente applicando alla lettera le norme, afferma che le valutazioni dell’istituto sull’OPS lanciata su Mediobanca sono frutto “della piena autonomia” del management di Banca Mps e “nessun soggetto, trattandosi di un’offerta pubblica di scambio volontaria totalitaria non precedentemente concordata, avrebbe potuto essere coinvolto in alcun tipo di trattativa in relazione alla stessa”. Quindi nessun socio è stato coinvolto nella strutturazione dell’operazione.

Ora riguardiamo un attimo (per l’ennesima volta, in realtà!) l’intreccio di partecipazioni che i soci Caltagirone e Del Vecchio hanno in Montepaschi e Mediobanca, le due aziende protagoniste dell’offerta (cacciatrice e preda) e anche direttamente in Generali, vero obiettivo dell’intero piano: Caltagirone detiene circa il 5,07% di Mps, e Delfin, la holding lussemburghese (viva l’italianità!) della famiglia Del Vecchio, ha aumentato la sua partecipazione fino al 9,78%, diventando il primo azionista privato dell’istituto senese; il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) rimane il principale azionista del Mps con una quota del 11,7%. Insieme, Tesoro, Caltagirone e Del Vecchio detengono quindi il 26,5% di Montepaschi.

In Mediobanca, invece, Delfin è il primo azionista addirittura con una quota del 19,8%, mentre Caltagirone possiede circa il 7,8% delle azioni di Mediobanca: totale, 27,6%. E poi, insieme, Caltagirone (col 6,92%) e Delfin (con il 9,9%) detengono il 17,8% delle Generali, dove Mediobanca detiene il 13,1.

Quindi il giorno in cui, attraverso Mps, Caltagirone e Delfin dovessero acquisire il controllo di Mediobanca, controllerebbero insieme il 30,9% delle Generali. E dentro Mps a comandare sul serio, a patto di essere d’accordo con il governo ossia con la politica, sarebbero Caltagirone e Delfin. Chiarissimo. Più correlate di così, le operazioni e le parti in gioco non potrebbero essere. Altro che “nessun coinvolgimento” nelle trattative. Ossia: sul piano formale, nessun coinvolgimento. Sul piano sostanziale, tutto si tiene, tutto è concertato.

Fine dell’amarcord

Aggiungiamo una cosa. Sulla vicenda Montepaschi-Mediobanca s’è consumato un certo flebile braccio di ferro politico tra la maggioranza di destra e una inconsistente opposizione. Stravinto da Meloni & C. e dal loro attempato “campione”, Francesco Caltagirone, costruttore ed editore di destra. Altra è la posizione della famiglia Del Vecchio, che da mesi ripete e fa ripetere in tutte le lingue che per loro quell’operazione su Mediobanca e Generali è solo una partecipazione finanziaria ma sono pronti a uscirsene, e che vi si sono trovati invischiati – ma questo, per rispetto, non lo dicono – per un puntiglio senile del fondatore Leonardo Del Vecchio che dopo tante cose bellissime realizzate per sé e per l’Italia qualche sciocchezza aveva pur il diritto di farla, tipo invischiarsi in quel ginepraio.

Ma intanto che le cose accadevano, c’era un signore – e non uno qualunque – che denunciava le opacità: Giuseppe Bivona, ex dirigente del Monte dei Paschi di Siena. È un tipo di rottweiler umano, oggi promotore di un fondo attivista, Bluebell, autore vincente di molte campagne assembleari contro colossi veri, tipo Danone o Blackrock e non finti come Mps: ebbene, Bivona ha depositato ben otto esposti (avete letto bene: otto!) in Procura per denunciare appunto quel sospetto di opacità contro il quale, “ben svegliata”! la Procura sta indagando.

Insomma, i sospetti venivano perfino a noi di Economy Group, sul piano che ci è proprio, quello giornalistico: e sul piano giudiziario, erano già stati manifestati in Procura.

Ma perché è tutta una pantomima? Perché in simili contesti, la tempistica è sostanza. Eventuali malefatte di Borsa vanno bloccate mentre accadono, dopo è inutile e fa più danno ancora perché sputtana con impotenza l’immagine di un mercato, e infatti l’immagine del mercato borsistico italiano nel mondo semplicemente non c’è. Ci considerano come lo sgabuzzino delle scope.

La realtà del mercato rende impossibile riparare all’eventuale malfatto. In un’operazione come l’acquisizione di Mediobanca da parte di Montepaschi sono stati coinvolti per mesi e mesi decine di migliaia di soggetti e controparti, che ormai hanno venduto e incassato, quindi il malfatto – se tale dovesse mai essere accertato che sia – è stato fatto ed è irreparabile, è accaduto alla luce del sole, è stato oggetto di dibattiti in sedi istituzionali altissime, che ricorreranno contro qualsiasi sentenza e dunque tutto quanto accade d’ora in poi è vano, sul piano concreto, ed è talmente controvertibile in punto di diritto che non sortirà alcun effetto tranne quello di arricchire gli avvocati. Non a caso in Parlamento il 15% degli eletti è avvocato e non a caso finora il diritto resta scritto in modo incomprensibile e la magistratura non viene riformata. Forse sarà che un simile inutile guazzabuglio rende bene alle categorie che ne sono attrici, potere ai giudici e soldi agli avvocati, causa che pende causa che rende… E comunque le leggi sono scritte coi piedi, e incapaci a individuare in un comportamento sostanzialmente concordato – quello del concerto di fatto di cui scrivevamo perfino noi – una violazione di diritto, non configurata con chiarezza nelle norme di legge.

Comunque, come direbbe Renzi: "compriamo i popcorn e vediamo cosa accadrà. Portandoci da leggere, però. Perché non accadrà niente, e impiegherà dieci anni per non accadere. Nel frattempo, annoiandoci".