Unipol, la Generazione Fact-Checker sfida il caos informativo verificando le fonti e scegliendo l’affidabilità rispetto alla viralità

Fernando Vacarini, Responsabile Media Relations del Gruppo Unipol: "I giovani ci ricordano che il vero tema non è la quantità di informazione, ma la capacità di riconoscerne l’affidabilità. Come Gruppo Unipol osserviamo da anni i comportamenti e le aspettative delle nuove generazioni"

Mai come oggi l’informazione è accessibile, ma mai come oggi è fragile. I giovani vivono immersi in un flusso continuo di notizie, aggiornamenti e contenuti manipolati, dove distinguere la realtà dalla falsità diventa sempre più difficile. È il quadro che emerge dal focus “giovani e informazione” dell’Osservatorio GenerationShip 2025 di Changes Unipol, a cura di Kkienn Connecting People and Companies, che analizza comportamenti, abitudini e percezione della qualità informativa tra i 16 e i 35 anni.

Informazione come specchio personale: i giovani cercano notizie sui propri interessi

L’informazione per i giovani diventa uno strumento di identità. Il 60% la usa per divertirsi (cinema, serie TV), il 59% per gestire la vita pratica (meteo, tutorial) e il 55% per coltivare la propria curiosità attraverso interessi e passioni, come musica (55%) o salute e benessere (52%). Attualità (51%), cronaca locale (43%) e politica italiana (40%) interessano solo se toccano la quotidianità, confermando il profilo di una generazione selettiva e pragmatica.

Rispetto agli adulti, i giovani mostrano meno interesse per politica (-11%), cronaca (-15%) e attualità (-13%), ma più attenzione a temi legati al tempo libero (+20%) e al percorso di studio (+19%). Nella loro “dieta informativa” convivono locale e globale: il 53% guarda al mondo, il 47% resta ancorato al territorio.

Dove si informano i giovani: il dominio del digitale

Il digitale domina. L’80% dei giovani si informa online, contro il 45% che utilizza ancora canali offline. I social media sono ormai il principale punto di accesso alle notizie: il 46% li usa per informarsi, con Instagram (79%), YouTube (43%), TikTok (40%) e Facebook (41%) ai primi posti. Tra le fonti tradizionali resistono i telegiornali (43%), seguiti dai quotidiani online (35%) e dalla radio (25%). Solo il 12% legge quotidiani cartacei, e appena il 5% li considera fonte primaria. Chi invece privilegia testate nazionali o media digital native rappresenta una vera e propria “élite informativa”. La Gen Z non si ferma ai social: li usa per scoprire notizie, ma cerca conferme su fonti giornalistiche e agenzie accreditate.

Per i giovani (16-35 anni) la modalità prevalente di fruizione dell’informazione resta ancora la lettura di articoli (su carta o in video). Il video emerge come il formato dominante per la fascia più giovane (16-22 anni), che lo preferisce nel 46% dei casi. Questo dato non riflette un semplice cambio di gusto, ma il passaggio da un pensiero logico-sequenziale a uno associativo-simbolico, in cui l'immagine e la narrazione visiva diventano veicoli di trasmissione primari.

Sovraccarico informativo e stanchezza cognitiva

I giovani dedicano in media 1 ora e 50 minuti al giorno all’informazione (contro 1 ora e 33 minuti degli adulti). Un quarto si informa più di 3 ore al giorno e il 7% supera le 5. Tuttavia, il 53% consuma informazione in modo passivo, esposto a un flusso continuo di contenuti che arrivano da social, chat e motori di ricerca. Il modello intenzionale di ricerca lascia spazio a un consumo “always-on”, dove la quantità prevale sulla qualità. Il risultato è chiaro: il 49% si sente sfinito, il 46% nota un calo nella capacità di riflettere e il 45% evita le news per non sentirsi sopraffatto.

I giovani però non rimangono a guardare, si attivano su Google e sulle fonti tradizionali per validare le informazioni che arrivano dal flusso dei social e che non sono attendibili.

Deepfake e fake news: giovani preoccupati ma poco attrezzati

La disinformazione non è più un rischio teorico: è un fenomeno quotidiano. L’81% dei giovani sa cosa siano le fake news, ma quando si entra nel merito di fenomeni più sofisticati come deepfake, bolle informative o polarizzazione, la consapevolezza crolla. Meno di un giovane su due (44%) pensa di sapere cosa siano i deepfake e solo il 37% di chi lo afferma ne ha davvero compreso il significato.

Un dato che svela una sopravvalutazione delle proprie competenze digitali: molti credono di riconoscere un contenuto manipolato, ma spesso non è così. Non a caso, il 42% ritiene di non aver mai incontrato un deepfake, segno che in molti, probabilmente, ne sono stati esposti senza rendersene conto. Il 58% dichiara di aver visto almeno una volta contenuti falsificati, ma il vero allarme riguarda le fake news “mezze vere”: per il 51% sono le più pericolose, perché mescolano realtà e manipolazione rendendo il falso più credibile.

Mentre la tecnologia produce notizie sempre più realistiche e difficili da smascherare, la maggioranza dei giovani non possiede gli strumenti per difendersi. Solo il 36% conosce i servizi di fact-checking, anche se il 69% dichiara di verificare le fonti prima di condividere una notizia e il 61% confronta la stessa informazione su più testate.

Nonostante la conoscenza limitata, la guardia resta alta: il 66% considera i deepfake un fenomeno preoccupante e non una novità destinata a diventare normale.

Fiducia e affidabilità: l’informazione in crisi

Il giudizio dei giovani sulla qualità dell’informazione in Italia è insufficiente: voto medio 5,6/10. Il 44% dei giovani e il 42% degli adulti parlano apertamente di “crisi dell’informazione”. Le cause principali: pressioni politiche ed economiche (14%), fake news (11%) e sensazionalismo (11%). È il paradosso della nostra epoca: tanta informazione, poca fiducia. Per Gen Z e Millennials, i criteri guida restano quelli tradizionali: affidabilità (76%), accuratezza (75%), autorevolezza (75%) e indipendenza (73%), mentre popolarità e viralità non bastano più a generare credibilità.

Intelligenza artificiale: un’opportunità ancora poco sperimentata

Solo l’11% dei giovani utilizza l’intelligenza artificiale per informarsi, ma tra questi il 49% lo fa più volte a settimana. Il 70% la considera efficiente e il 38% la ritiene utile per ottenere una visione d’insieme. Per molti rappresenta un “assistente cognitivo” capace di semplificare la complessità e ridurre il rischio di fake news. Tra chi non la usa, il 49% la rifiuta a priori, mentre gli altri osservano con curiosità ma senza ancora sperimentare.

L’informazione sulla finanza personale

Il 30% dei giovani si informa su temi finanziari, concentrandosi su risparmio (47%), investimenti (46%) e gestione delle spese (44%). Le principali fonti sono i quotidiani economici (40%) e, in crescita, i giornalisti e influencer online (36%).

Brand journalism e le imprese come produttrici di contenuti

Metà dei giovani (52%) conosce il fenomeno del brand journalism e l’85% ne ha un giudizio positivo. Chiedono però trasparenza (72%), imparzialità (67%) e la presenza di esperti esterni (57%).

Fernando Vacarini, Responsabile Media Relations del Gruppo Unipol, commenta: “Viviamo in un’epoca di iperconnessione, dove la sfida non è accedere alle notizie, ma capire di chi fidarsi. I giovani ci ricordano che il vero tema non è la quantità di informazione, ma la capacità di riconoscerne l’affidabilità. Come Gruppo Unipol osserviamo da anni i comportamenti e le aspettative delle nuove generazioni. Ascoltarle, comprenderle e tradurre la loro visione in conoscenza condivisa è parte della nostra responsabilità sociale. Con Changes vogliamo raccontare il cambiamento e contribuire a costruire fiducia, attraverso una narrazione fondata su dati, competenze e trasparenza. La partecipazione al Brand Journalism Festival si inserisce in questo percorso di confronto aperto e continuo sul ruolo dell’informazione nella società contemporanea. Crediamo che le imprese abbiano oggi la possibilità, e il dovere, di promuovere contenuti di qualità, capaci di generare consapevolezza e non solo visibilità. Aiutare i giovani a orientarsi nel caos informativo non è solo una sfida culturale: è una responsabilità.