Labriola (TIM): "Iliad sarebbe una buona soluzione; con Poste possiamo ricominciare a crescere e trovare nuove opportunità"
Pietro Labriola, CEO di TIM, ha dichiarato: "Nel primo tempo abbiamo messo a posto le cose, ora con Poste come azionista stabile lavoriamo con un orizzonte più lungo per generare valore e crescere"
Il cambio di rotta è iniziato. Dopo aver venduto la rete, ridotto il debito per investire su 5G, Data Center e cybersecurity, e trovato un nuovo assetto stabile, con l’uscita di Vivendi e Cdp dal capitale e l’ingresso di Poste come primo azionista, Tim
è pronta perla svolta.
«Rispetto a un anno fa è un’altra azienda», riconosce Pietro Labriola. «Seguendo la strada tracciata dal piano presentato nel 2022 abbiamo trasformato Tim, riducendo il debito e creando le condizioni per la crescita» spiega il ceo del gruppo telefonico, che la scorsa settimana ha presentato i conti del primo trimestre, chiusi con ricavi in crescita a 3,3 miliardi trainati dal business del cloud, salito del 24%, e dai servizi digitali come cybersecurity e Iot. «Ora inizia il secondo tempo».
Il primo tempo ha visto la vendita della rete, di Sparkle, il turnaround di Tim Consumer e, infine, l’arrivo di Poste come primo azionista. Adesso la sfida è la crescita, in un mercato che non offre grandi margini.
«Le condizioni per trovare ricavi e redditività le abbiamo create facendo le cose indicate nel piano strategico. La vendita della rete oltre ad aver ridotto il debito ci permette di accelerare la strategia per la creazione della “customer platform” per il segmento consumer e di sviluppare i servizi digitali di cloud, cybersecurity e Iot di Tim Enterprise».
Partiamo dalla «consumer», l’attività rivolta ai clienti retail dove la guerra dei prezzi ha ridotto i margini restringendo gli spazi di crescita. Il consolidamento è senza dubbio una soluzione, lei stesso ha detto che Iliad può essere un partner interessante per Tim. State parlando di un merger?
«Noi parliamo con tutti perché il consolidamento può avvenire con modalità diverse. La soluzione migliore passa attraverso l’integrazione tra operatori e con Iliad abbiamo parlato, visto i numeri e sarebbe una buona soluzione per le sinergie possibili e anche per l’efficienza dello spettro di rete, visto che abbiamo frequenze vicine. Anche una eventuale fusione tra Iliad e WindTre aiuterebbe il mercato a divenire più razionale. Non è tuttavia l’unica soluzione per rendere il mercato più efficiente. Esiste un livello sub ottimale, si può lavorare su altri fronti in altre modalità come il network sharing. Tim, tanto quanto Iliad, WindTre e Vodafone+Fastweb possono trovare forme di condivisione delle reti, ottenendo risparmi di costo e maggiore efficienza, considerando che i costi maggiori sono rappresentati dai canoni di concessione e dall’energia elettrica. Oggi non ha molto senso avere più reti diverse».
Vale lo stesso per la rete in fibra?
«Non è razionale investire in due per costruire reti nelle stesse zone lasciando altre parti del Paese senza fibra».
In caso di integrazione tra FiberCop e Open Fiber ci sarebbero i 2,5 miliardi aggiuntivi di earn out che incasserebbe Tim. Non è un giudizio di parte?
«Il mio punto di vista non è legato all’earn out. Si tratta di razionalità e di investire in modo efficiente le risorse disponibili. Se FiberCop scegliesse di andare avanti da sola, l’equivalente dell’earn out lo spenderebbe per realizzare da sola la rete e per non perdere clienti verso Open Fiber. Non ha molto senso e più tempo passa più si rischia di impoverire il mercato. Lo stesso discorso vale anche per il consolidamento nella telefonia mobile».
Intanto con la vendita di Fibercop vi siete liberati dei vincoli regolatori sulle offerte commerciali. Questa libertà come verrà sfruttata?
«Abbiamo quattro punti di forza che fanno della Consumer un leader di mercato con le maggiori potenzialità di crescita. Il primo sono i clienti, il nostro asset più importante. Il secondo la capacità di fatturare i servizi dei partner, come Netflix o Dazn, offrendo un’alternativa al pagamento con carta di credito che in Italia ancora limita la diffusione degli abbonamenti alle piattaforme streaming. Il terzo punto di forza è il canale di vendita, fatto dal numero verde a disposizione per i clienti e dai negozi il cui supporto agli utenti continua a essere fondamentale anche in un mondo sempre più digitale. E poi c’è Tim, che è certamente il marchio più attrattivo a cui associarsi per chi vuole lanciare un nuovo prodotto o servizio in Italia. Vendiamo contenuti con TimVision che è l’aggregatore più completo sul mercato italiano e ha oltre 1 milione e mezzo di clienti, venderemo energia e altri servizi. E venderemo dati anonimizzati. Già li raccogliamo per fornire servizi sempre più personalizzati, in TimVision stiamo sviluppando una tecnologia che permette di fornire pubblicità su misura per ogni singolo cliente. Per ora siamo gli unici. E poi c’è il Brasile dove abbiamo rafforzato la posizione di Tim».
Enterprise nel suo piano rappresenta il principale motore di crescita di Tim nel futuro, anche attraverso acquisizioni. Questa strategia è valida anche dopo l’arrivo di un partner come Poste?
«Con Poste inizia il secondo tempo per Tim, finalmente c’è un azionista stabile di lungo periodo che ci permette di lavorare con un orizzonte più lungo. Nel primo tempo abbiamo messo a posto le cose per ricominciare a crescere e creato le condizioni per poter trovare nuove opportunità per generare valore. Ma sempre seguendo le indicazioni del piano. Tim Enterprise nasce di fatto con il piano del 2022. Dissi che avremmo puntato su cloud e sicurezza e meno sulla connettività. Parlai di cloud sovrano. A distanza di 4 anni la cybersecurity è diventato un elemento fondamentale per la sicurezza nazionale e delle aziende e noi abbiamo Telsy che si occupa solo di cybersicurezza. Il Psn è il caso di maggior successo in Europa di cloud sovrano, siamo i principali solution provider di sistemi perle smart cities in Italia, forniamo reti cifrate ai ministeri e alle ambasciate e anche alle aziende per connessioni riservate. C’è un valore enorme da estrarre: se prendo i singoli pezzi di Tim Enterprise e li valuto ai multipli di mercato delle startup del settore arrivo a oltre 10 miliardi. Se non avessimo venduto la rete e messo a posto i numeri non staremmo a parlare di crescita. L’ingresso di Poste è un vantaggio perché ci dà stabilità e aumenta anche la percezione di italianità di Tim, che per esempio sul cloud e in questa situazione geopolitica rappresenta senza dubbio un vantaggio».
Porta anche nuove opportunità di business e possibili sinergie. Ne state già parlando?
«Abbiamo firmato un memorandum per aprire diversi tavoli di discussione e siamo abbastanza avanti per la migrazione di Poste Mobile su rete Tim. Tim e Poste insieme rappresentano il maggior acquirente di It in Italia e quindi si possono fare sinergie sugli acquisti, ma non solo. Serve tempo però, Poste non ha ancora perfezionato l’acquisto della quota di Tim, come ha ricordato l’ad Matteo Del Fante».
Il cda scade tra due anni ma si parla di un possibile ingresso di Poste in consiglio alla prossima assemblea. Sarà così?
«I temi di governance riguardano gli azionisti, saranno loro a valutare se chiedere di entrare in consiglio già in questa occasione. Sicuramente con Poste si è instaurato un dialogo facile, perché sono investitori industriali mentre per Vivendi la quota era diventata, negli ultimi anni, una partecipazione finanziaria. Ciò che per me conta è avere con Poste, così come con tutti gli azionisti, un’interlocuzione su temi e sulle scelte strategiche, a prescindere dalla presenza in consiglio».