Eataly rivede l'utile dopo l'arrivo di Investindustrial, Cipolloni (CEO): "nuove aperture a Manhattan e Roma Termini"

Il punto con il CEO di Eataly Andrea Cipolloni a un anno dall'arrivo di Investindustrial: "Diversi obiettivi: raddoppiare il fatturato USA, nuove aperture a Manhattan e Roma Termini e nuovo private label a Natale"

A un anno dall'acquisizione del 52% di Eataly da parte di Investindustrial, completata in agosto, Andrea Cipolloni, 55 anni, dallo scorso novembre nuovo Ceo del gruppo, racconta per la prima volta come sta cambiando l'azienda fondata da Oscar Farinetti e quali sono le strategie che ne guideranno la nuova fase di sviluppo, non solo grazie ai 200 milioni apportati, attraverso un aumento di capitale riservato, dal nuovo azionista di controllo, ma anche alle risorse umane e alle capacità logistiche della società di investimenti fondata da Andrea Bonomi nel 1990, oggi una holding di partecipazioni industriali con oltre 13 miliardi di fondi raccolti.

Così dopo Cipolloni, che Bonomi ha convinto a lasciare la guida di Autogrill Europa e Italia, per accompagnarlo nel rilancio di Eataly, a giugno sono arrivati Luca Sabadin, nuovo responsabile finanziario del gruppo (Cfo) e Gabriele Belsito, nuovo direttore delle risorse umane. Mentre Tommaso Brusò diventerà il nuovo Ceo per il Nord America, dove ha lavorato per circa 15 anni come Ceo Usa prima di Fedon, poi di Furla e di Diesel.

«Stati Uniti e Canada sono il nostro faro: qui abbiamo dato un'importante accelerazione allo sviluppo di Eataly e contiamo di aprire una ventina di nuovi punti vendita nei prossimi 4/5 anni, raddoppiando il numero dei negozi dagli attuali undici, inclusi il secondo store di Toronto che inaugureremo a novembre e il terzo a Manhattan», afferma Cipolloni, che passa in media 10 giorni al mese negli Usa, tanto che a New York è stato costretto a fare smontare il controsoffitto della sua camera di hotel, per far spegnere l'aria condizionata («non si riusciva a regolare») e ha imparato a portarsi dietro sempre una sciarpa per sopravvivere. E' un «sacrificio» ben ripagato: «Negli Usa tutti i negozi funzionano, perché siamo un gate che porta le eccellenze made in Italy nel resto del mondo», riconosce. Tra le nuove aperture è previsto lo sbarco a Filadefia («abbiamo già firmato il contratto») e a Miami, con due negozi.

Focus Nord America

L'obiettivo è di «raddoppiare il fatturato americano», che già oggi vale circa 470 milioni di euro sui circa 675 milioni di ricavi totali stimati per il gruppo a fine 2023, in aumento del 12% rispetto ai 602 milioni del 2022 (502 milioni nel
2019), anticipa il top manager. Anche la redditività migliora e, dopo il rosso di 28,7 milioni registrata l'anno scorso, a fronte però di un ebitda di 26 milioni, Cipolloni conta di chiudere il 2023 «non in perdita». Senza sbilanciarsi troppo: «Vediamo come va il Natale, che per noi è molto importante. Ma l'azienda sta andando molto bene», sottolinea, prevedendo un ebitda di oltre 40 milioni dai 1g milioni nel 2019.
L'Italia, dove il gruppo controlla 12 negozi diretti, vale circa 160 milioni. «L'apertura in franchising a Fiumicino è diventata un punto di riferimento per l’aeroporto. Ed entro due mesi Eataly entrerà a Roma Termini, con uno spazio di 700 metri quadrati», annuncia Cipolloni. «Riceviamo molte richieste, ma non prevediamo l'apertura di nuovi megastore. Però stiamo attenti e valuteremo le opportunità». Idem in Europa, dove Eataly è presente a Londra, Parigi, Monaco e Stoccolma, ma prepara il debutto a Bruxelles e a Dresda.

Nel nostro Paese la strategia, piuttosto, è di rinnovare i negozi esistenti, il primo sarà quello di Milano. «Non siamo né un supermercato, né un ristorante: Eataly è un mondo unico. Ma dobbiamo comunicarlo meglio e far vedere quello che facciamo». Ad esempio: «Facciamo il pane tutti i giorni, partendo dal lievito madre, 8 mila chili a settimana, solo nel negozio di Milano abbiamo più di 20 panettieri. I nostri corsi per imparare a fare il pane in casa hanno avuto grande successo tra i clienti». O il tonno rosso, con un grosso esemplare in bella mostra nel reparto pescheria. «È pescato all'amo. Questo non è un progetto di grande distribuzione, ma di un'azienda che lavora con la filiera corta e fa attenzione alla sostenibilità. Su 2.300 fornitori, 6oo fanno meno di 5 mila euro di fatturato. L'obiettivo è offrire prodotti che non si trovano altrove».

Lo sviluppo in Italia passa anche dal private label. «Il marchio Eataly non è mai stato sfruttato appieno. Il nostro progetto è di usare il brand per prodotti artigianali, esclusivi, con ingredienti solo italiani». Il primo? Panettoni e pandori, fatti artigianalmente in Piemonte, per il prossimo Natale. «Contiamo di vendere 50 mila pezzi». Poi toccherà alla pasta a marchio Eataly, che il gruppo produrrà in casa a Gragnano, dove già possiede il brand Afeltra. «Diventerà una pasta cult, di fascia alta». L'azienda sta lavorando anche su caffè e sul cioccolato: «Cerchiamo piccoli produttori di nicchia», anticipa Cipolloni.
«Il private label è una grandissima opportunità, soprattutto nei nostri punti di vendita, ma stiamo considerando anche location di nicchia, ad esempio da Harrod's a Londra».

Sfida cinese?

L'altra sfida è a Oriente, se ne occupa il figlio di Oscar Farinetti, Nicola, che da Ceo è diventato presidente del gruppo dopo il passaggio di proprietà. «Mi sta aiutando e stiamo lavorando molto bene insieme, valutando se e quando sbarcare in Cina, essendo Eataly già in Giappone e Corea del Sud».
Nel percorso di rilancio «Andrea Bonomi è molto presente», ammette il top manager. «E con il team di Investindustrial ho un rapporto costante, soprattutto nella definizione e nello sviluppo di nuove strategie. Apprezzo molto che su tutte le decisioni da prendere ci sia un grande scambio, per portare l'esperienza di tutti. Il nostro obiettivo è di mantenere Eataly un'esperienza unica, migliorando la redditività. Questa è un azienda con il cuore italiano, ma un orizzonte globale. Proprio come Investindustrial».
Cipolloni sente anche Oscar Farinetti, che ha mantenuto il 22% di Eataly, mentre Clubitaly di Gianni Tamburi detiene il 18% e il restante 8% è in mano a SS Carlo Alberto. «Farinetti mi chiama spesso per farmi i complimenti e per darmi suggerimenti. A mia volta, quando ho qualche novità, mi piace comunicargliela in anticipo.
Oscar è molto contento di questo sviluppo, mi ha confessato di essere rimasto molto sorpreso dalla nostra voglia di valorizzare Eataly».

Fonte: Giuliana Ferraino - Corriere della Sera