Savona (Consob), Lectio Magistralis: "Paesi leader in competizione per la supremazia tecnologica, il dialogo è assente"

Il Presidente della Consob Paolo Savona ha presentato una Lectio Magistralis dal titolo "L'eterna disputa tra Stato e mercato" presso l'Auditorium Consob di Roma: "Il futuro degli Stati e della convivenza umana si svolgerà sempre più nella dimensione immateriale"

Presso l'Auditorium Consob di Roma oggi, 15 settembre 2023, il Presidente della Consob Paolo Savona ha presentato una Lectio Magistralis dal titolo "L'eterna disputa tra Stato e mercato".

"La disputa alla quale mi riferisco in questa occasione è tra i modi in cui il potere dello Stato si è storicamente organizzato e le reazioni dell’individuo che in esso doveva vivere; questo tema rientra nel campo di studio della politica, il governo della collettività, e della sociologia, i modi in cui l’individuo si rapporta con la società. Per un economista è più appropriato vedere la disputa nelle relazioni che intercorrono tra i modi in cui si organizza il potere statale e le regole che governano la produzione e la commercializzazione dei beni e servizi, quella che chiamiamo mercato o, più in generale, economia.

Dopo un lungo periodo che copre molti millenni in cui lo Stato era rimasto saldamente in mano ai più forti e ai più abili, la disputa tra Stato e i sudditi ebbe il massimo della sua espressione nel XIX Secolo, quando l’insieme dei sudditi, il popolo (termine romano che equivale alla “moltitudine” dei greci), comincia a rivendicare migliori condizioni di vita, ottenendo “diritti di cittadinanza” statuiti da Carte, Statuti e Costituzioni. L’assolutismo regio viene ridimensionato, ma solo nel XX secolo, dopo due sanguinose Guerre mondiali, si afferma la democrazia, il governo del popolo, nelle forme democratiche “occidentali”, e il potere è passato dalle mani degli uomini a quelle delle leggi decise dalla comunità dei cittadini. In questi regimi politici, il potere dello Stato si sostanzia in una organizzazione giuridica e nella sua pratica applicazione da parte della pubblica amministrazione, due facce della stessa medaglia. Anche se i mercati intesi come luoghi fisici esistono da lungo tempo, il loro assetto moderno sottoposto a regole è oggetto di “funzioni di utilità” che dipendono dal prevalere della volontà di interessi “costituiti” (in inglese vested interest) e dalla scala dei valori sociali che riescono a imporsi. Ne consegue che le relazioni che si stabiliscono tra Stato e mercato dipendono dal regime politico in cui si realizzano e la loro intensità si presenta più debole in democrazia e più forte nelle autocrazie, dove i cittadini contano meno.

Parte della disputa sulle relazioni tra Stato e mercato riguarda la libera competizione, una forma che fatica ad affermarsi, salvo momenti favorevoli come nel recente processo di globalizzazione. La sua espressione teorica si ha nella celebre metafora di Adam Smith della “Mano invisibile” che agisce sul mercato per garantire sviluppo individuale ed equilibrio sociale. Più sofisticate elaborazioni di questo concetto hanno assimilato il mercato a una democrazia “ideale”, in cui i partecipanti votano tutti i giorni, esprimendo il loro consenso o dissenso ai beni e servizi offerti.

Tutti noi abbiamo vissuto questa storia in modo più o meno cosciente, ma oggi, a seguito di una nuova rivoluzione tecnologica, che per brevità definiremo “informatica” (ossia dell’informazione o della comunicazione), i rapporti tra Stato, mercato e individui-cittadini subiscono costanti mutamenti, riproponendo le vecchie dispute, per certi versi in modo più acerbo, anche perché influenzate da una maggiore coscienza dei diritti dei cittadini e dei popoli che incidono nella convivenza sociale e quindi nelle scelte politiche, interne e internazionali. In un recente lavoro intitolato Geopolitica dell’Infosfera ho analizzato con Fabio Vanorio il perché e i modi di questo mutamento. Riassumo brevemente il nostro punto di vista sull’argomento."

La rivoluzione informatica

"Ogni rivoluzione tecnologica ha sempre portato profondi mutamenti nelle relazioni tra uomo e macchina. La moderna Scienza dell’informazione (Data Science) ha potenziato le capacità elaborative del cervello umano, moltiplicandole attraverso tecniche note come Intelligenza Artificiale (IA), ma sarebbe meglio definirla Intelligenza umana rafforzata (IUR), perché opera in questo modo.

Essa tende a riproporre il conflitto che agli albori della rivoluzione industriale del XVIII secolo fu definito “luddismo”, una forma di odio e lotta contro le macchine perché sostituivano il lavoro umano. Oggi questo conflitto ha assunto uno spessore sociale maggiore perché, pur persistendo la preoccupazione che i robot possano sostituire il lavoro degli esseri umani, domina ancor più il timore che macchine pensanti (machine learning) possano prendere il controllo delle persone e della società, trasferendo il problema dall’alveo scientifico ed economico in cui matura a quello sociale e politico in cui trova inevitabilmente soluzione. Sui media prevalgono quasi quotidianamente critiche all’IA, che si trasmettono all’organizzazione dello Stato trovando sbocchi nell’imposizione di regole all’uso delle macchine pensanti e freni all’uso delle opportunità che esse offrono; questi interventi dello Stato, invece di rasserenare i cittadini sul loro futuro, ne accrescono i timori. A essi non sfugge che, sotto la spinta della ricerca scientifica e dell’intraprendenza umana, il processo di innovazione tecnologica creato dagli spiriti più intraprendenti è inarrestabile. D’altronde loro stessi ne fanno largo uso con i dispositivi mobili (come cell e ipad).

Alcuni Stati assecondano le innovazioni perché hanno capito che gli sviluppi dell’IA-IUR migliorano la crescita reale e il loro potere, mentre altri li contrastano, restando indietro; tra questi ultimi vi sono anche quelli che hanno accettato le conquiste tecnologiche del passato (radio e TV). È stato giustamente osservato che il progresso è un congegno sociale molto delicato, che richiede continua manutenzione culturale. Al di là di questi diversi sbocchi, ve ne è uno specifico che riguarda gli equilibri geopolitici, poiché i paesi leader mondiali o aspiranti tali hanno ingaggiato tra loro una nuova competizione per raggiungere la supremazia tecnologica nella sfera informatica (Infosfera), stabilendo un’alleanza strumentale con quella parte del mercato capace di produrre innovazione, così relegando gli interessi dei cittadini ai margini del progresso come parte dedita ai consumi dei prodotti dell’innovazione tecnologica, così causando una reciproca determinazione con il tipo di produzione e la pubblicità. In breve, per fare un passo avanti in materia economica e politica, se ne fa uno indietro, e non da poco, poiché i poteri conquistati dagli individui con lotte di popolo vengono ridimensionati. La manifestazione principale di questa inversione è rappresentata dal processo di de-globalizzazione in atto, che aveva unito, almeno sul piano dell’economia, i paesi del mondo, e ridotto il dramma della povertà.

A seguito dell’incalzare delle innovazioni tecnologiche, siamo entrati in una nuova era, quella del passaggio delle relazioni umane e politiche dalla sfera (diciamo) terrestre a quella dell’etere, appunto l’Infosfera, dove si va svolgendo una parte crescente dell’attività degli esseri umani e degli Stati. Questo processo non è improvvisato, ma è in corso da tempo, da quando gli scienziati hanno cominciato a capire le forze che operavano nell’etere, come fece Guglielmo Marconi che seppe incorporare nell’invenzione della radio il modo semplice ed efficace di scambiarsi suoni e informazioni tra esseri umani di diversi Continenti.  

L’Infosfera nasce dagli enormi progressi fatti nella messa a punto di linguaggi (Arpa, Arpanet, Internet e i suoi sviluppi) e strumenti di raccolta ed elaborazione delle informazioni (hard e soft) per conservare conoscenze e usarle a fini di ricerca scientifica e di pratiche applicazioni. Il futuro degli Stati e della convivenza umana si svolgerà sempre più nella dimensione immateriale, anche se a prima vista tutto sembra che la dimensione materiale proceda come prima. Questo mutamento dei modi di essere della vita umana porta vantaggi, ma anche distorsioni: ritornano in auge i vincoli agli scambi internazionali, giustificati da motivi di sicurezza nazionale, e si registrano nuove esplosioni belliche, invero mai cessate, ma in forme meno pericolose (semmai questo termine possa essere usato per definirle). Uno degli errori consiste nel fatto che le innovazioni tecnologiche vengono incorporate nei vecchi schemi istituzionali, invece di incorporare questi nei nuovi. La “crisi”, che in greco significa “decisione”, viene considerata “un cambiamento traumatico o stressante per un individuo, oppure una situazione sociale instabile e pericolosa”, una definizione che meglio rappresenta l’attuale condizione degli Stati, del mercato e degli abitanti del mondo. Una crisi non è mai statica, ma si presenta come una transizione che trova sbocchi quando si comprendono le componenti, rendendo possibile l’individuazione delle soluzioni. Questa storia non ha mai fine.

Come ogni crisi interna o internazionale, tuttavia, per essere risolta richiede una cooperazione tra cittadini e Stati che delinei uno schema di nuove relazioni politiche intra ed extra sociali (geopolitiche), che nelle attuali circostanze dovrebbe portare a un Nuovo Modello Geopolitico Digitale per tutti. Per ora le relazioni internazionali poggiano maggiormente sulla competizione che sfocia in conflitti, facendo riemergere forme militari a livelli che la Guerra fredda non aveva mai toccato o, quando è accaduto, come il caso della crisi dei missili a Cuba, ha trovato un’abbastanza rapida sistemazione. Oggi, come suol dirsi, si preferisce scherzare con il fuoco, sostenendo la razionalità di un siffatto comportamento per gli interessi di un paese sulla base del principio che ciò porta benefici al mondo. Mandiamo l’uomo sulla Luna, ma non sappiamo come mantenere la pace in Terra.

Prime conclusioni e loro integrazione sul piano del metodo per raggiungere una soluzione

Siamo giunti a due conclusioni.

La prima è che il mutamento epocale indotto dalla Scienza dei dati va ben compreso per prendere buone decisioni di Governo. Nonostante la proliferazione di scritti, ancora non siamo a questo punto della conoscenza.

La seconda è che le soluzioni non possono se non essere globali, perché ciascuno Stato dipende, anche se in diversa misura, dall’ordine geopolitico in cui agisce, che soprattutto i paesi leader concorrono a determinare, ma gli altri non restano inerti.

Dopo gli sconvolgimenti iniziati con la dissoluzione della Russia sovietica e l’inizio di una nuova era di progresso tecnologico e sociale per tutti siamo in una condizione di confusione pericolosa, dove insieme a satelliti e droni sempre più sofisticati, volano nuovamente missili e aerei. Non bastano i viaggi di Janet Yellen, il Ministro dell’economia americano, e di Henry Kissinger, uno stimatissimo statista, pur utili, per portare chiarezza alle relazioni tra Stati, tra Stati e mercati e tra Stati, mercati e individui, ma occorre che i leader perseguano con convinzione la convivenza civile tra popoli. L’esempio del Discorso delle Quattro libertà al Congresso degli Stati Uniti di Roosevelt del 1941 è un esempio lampante.  

Un contributo può provenire dal metodo che si dovrà seguire. La mia interpretazione, che devo a illustri Maestri, è che la soluzione passa dal dialogo, come unica alternativa al conflitto. Il termine deriva dal greco e consiste nell’esprimere pacificamente sentimenti e idee attraverso le parole, riflettendo sulle proprie e valutando quelle altrui. L’assenza di dialogo – forse è meglio dire la sua presenza in forme confuse, tipiche dei talk show televisivi – si può considerare uno dei fattori che ostacolano il ritorno del mondo sul sentiero della collaborazione e dello sviluppo, inteso non solo come una crescita soddisfacente del reddito e dell’occupazione, ma anche, direi soprattutto, di un’elevazione delle istituzioni ai livelli desiderati dai cittadini, che sono alla portata delle risorse materiali e culturali del genere umano, nel rispetto dell’ambiente, la cui tutela richiede anch’essa un’indispensabile collaborazione tra Stati.

In occasione della presentazione della Scuola intestata a Carlo Azeglio Ciampi ricordai che l’Accademia di Platone si svolgeva in forma di dialogo: veniva posto un problema e i partecipanti al simposio lo discutevano; questa caratteristica l’ha resa celebre nella formazione della storia del pensiero filosofico e politico. L’idea era stata mutuata da Socrate, come noto Maestro di Platone, che non lasciò scritti, ma affidò il suo pensiero alla forma verbale, perché considerava la forma scritta una soluzione in contrasto con la mutabilità della realtà e la necessità che le idee seguissero questa in continuazione, una magnifica moderna intuizione circa i progressi dell’informatica. La comunicazione delle idee è quindi l’oggetto centrale dell’insegnamento necessario in un momento in cui la scienza dei linguaggi sta causando mutamenti epocali nei modi in cui si persegue la conoscenza. Se comprendiamo e pratichiamo questo elementare principio di convivenza, le forme in cui vengono espressi sentimenti e conoscenza divengono rilevanti, perché nell’Infosfera la conoscenza dei linguaggi scientifici è condizione perché gli esseri umani partecipino al progresso. Ciò significa che l’informalità del dialogo socratiano si incontra con il formalismo semantico del progresso, annullando la contrapposizione tra istruzione filosofica e formazione professionale, che finiscono con il procedere di pari passo. Oggi la seconda opera, non di rado, nel vuoto della prima.

Spero che queste mie riflessioni abbiano portato argomenti a favore del rilancio del dialogo all’interno e all’esterno del Paese, avvertendo che non basta più un argomento scientificamente ben posto affinché possa essere accettato, se i destinatari del messaggio non sono disposti ad ascoltarlo e a discuterlo. Norberto Bobbio ha espresso molto bene questo concetto affermando che 'La prima condizione perché il dialogo sia possibile è il rispetto reciproco, che implica il dovere di comprendere lealmente ciò che l’altro dice'. Questo è l’insegnamento da impartire in qualsiasi Scuola per il bene dell’umanità."