Pensioni, Itinerari previdenziali-Cida: i numeri delle svalutazioni più recenti

Roma, 17 set. (Adnkronos/Labitalia) - Scaduta nel dicembre 2021 la disciplina transitoria introdotta dalla legge numero 147/2013 (più volte rinnovata), è stato infatti ripristinato lo schema originariamente stabilito dalla normativa del 1996, che prevedeva una rivalutazione a scaglioni al 100% dell’inflazione per la quota di pensione di importo fino a 4 volte il trattamento minimo Inps (per il 2022 pari a circa 525 euro al mese); al 90% dell’inflazione per l’importo compreso tra 4 e 5 volte il trattamento minimo (tm); al 75% dell’inflazione oltre 5 volte il tm. E' questa la fotografia scattata da Itinerari Previdenziali e Cida in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate 'La svalutazione delle pensioni in Italia': studio che analizza gli effetti sulle rendite dei meccanismi di rivalutazione delle pensioni applicati negli ultimi trent’anni, concentrandosi soprattutto sulle novità introdotte dalle più recenti manovre finanziarie.

Con l’occasione della successiva manovra finanziaria, il governo presieduto da Giorgia Meloni è però intervenuto sul biennio 2023-2024, prevedendo un meccanismo che, se da un lato rivalutava pienamente le pensioni sociali, gli assegni sociali e le pensioni al minimo (prevedendone addirittura un ulteriore incremento straordinario dell’1,5%, elevato al 6,4% per i pensionati di età pari o superiore ai 75 anni, per il 2023, e del 2,7% per il 2024), dall’altro peggiorava lo schema di rivalutazione delle prestazioni oltre 5 volte il tm. Nel dettaglio, le percentuali di rivalutazione previste sono state: del 100% per i beneficiari di prestazioni fino a 4 volte il tm, incrementato appunto di un punto e mezzo percentuale in più rispetto all’inflazione effettiva; dell’85% per le pensioni da 4 volte a 5 volte il tm; del 53% per gli assegni tra le 5 e le 6 volte il tm, al 47% tra le 6 e le 8 volte, al 37% tra le 8 e le 10 volte e al 32% per gli importi superiori. Valore, quest’ultimo, ulteriormente ridotto al 22% per l’anno successivo, quando le modifiche alla perequazione hanno in effetti riguardato i soli percettori di assegno superiore le 10 volte il trattamento minimo.

"Cosa ancora più grave - puntualizza Brambilla - è che la perequazione sfavorevole è stata applicata sull’intero reddito pensionistico e non per scaglioni: giusto per fare un esempio riferito al 2023, un pensionato con una rendita pari tra 2.627 e 3.152 euro si è visto rivalutata l’intera pensione al 4,3% (a fronte di un tasso di inflazione definitivo dell’8,1%), e non la sola quota eccedente le 5 volte il tm". Solo per il 2025, di pari passo con l’attenuazione dell’impennata inflattiva, si è di fatto tornati all’applicazione a scaglioni su uno schema a 3 fasce: il tasso di inflazione provvisorio dello 0,8% sarà applicato al 100% fino a 4 volte il tm Inps, al 90% tra le 4 e le 5 volte e al 75% al di sopra delle 5 volte il trattamento minimo dell’Istituto. Il che, tuttavia, non rimedia a quanto accaduto nel biennio precedente: come puntualizza la pubblicazione, non si tratta di una perdita circoscritta a 2023 e 2024 ma di una sottrazione di reddito pensionistico permanente nel tempo e destinata anzi a trascinarsi anche negli anni successivi.

Considerate le mancate indicizzazioni patite dal 2012 al 2022, i trattamenti pensionistici oltre le 10 volte il minimo hanno perso rispetto a un’inflazione totale dell’11,6% circa 9 punti percentuali. Svalutazione cui si aggiunge quella del triennio 2023-2025, ancora più ingente per l’effetto combinato del boom dell’inflazione e dei meccanismi di perequazione introdotti dall’esecutivo attualmente in carica: in questo caso, le perdite ammontano a circa il 12% e, sommate alle precedenti, determinano una svalutazione delle pensioni di oltre il 21% nell’arco di 14 anni. Volendo fare un esempio concreto, ciò significa che in questo periodo di tempo una pensione da 10.000 euro lordi (circa 6.000 netti) ha perso quasi 178mila euro, mentre una pensione da 5.500 ero lordi mensili (circa 3.400 euro netti) ha subito una perdita pari a circa 96mila euro.

"Tenuto conto - aggiunge Brambilla - dell’effetto trascinamento, questo significa che i cosiddetti pensionati del ceto medio, oltre a sobbarcarsi il grosso dei 56 miliardi di Irpef in arrivo dalle pensioni, si vedranno ingiustamente sottratti altri 45 miliardi circa".

"Siamo di fronte a una contraddizione evidente - ha spiegato Stefano Cuzzilla, presidente di Cida - 1,8 milioni di pensionati con redditi da 35mila euro in su, poco meno del 14% del totale, garantiscono da soli il 46,33% dell’Irpef dell’intera categoria, eppure sono proprio loro i più colpiti dai tagli e dalla mancata rivalutazione. Al contrario, chi ha versato pochi o nessun contributo è stato pienamente tutelato dall’inflazione. È un autentico rovesciamento del principio di equità! Sostenere i più fragili è un dovere, e la classe dirigente non si è mai sottratta a questa responsabilità, ma diventa un’ingiustizia quando la solidarietà ricade sempre sugli stessi mentre l’evasione resta impunita. Ogni anno il fisco perde circa 90 miliardi di euro, con il 65% dell’Irpef che non arriva all’Erario: finché questa voragine non sarà chiusa, non potrà esserci un sistema previdenziale né giusto né sostenibile".

Numeri che spiegano facilmente come mai Cassazione e Suprema Corte siano state spesso chiamate a esprimersi sulla legittimità dei meccanismi di perequazione che si sono succeduti negli ultimi 15 anni, così come accaduto lo scorso gennaio quando, con la sentenza n.19 del 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato legittimo il meccanismo di raffreddamento della rivalutazione per fasce di reddito, previsto dalla Legge di Bilancio 2023, e non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito all’art. 1, comma 309, della Legge di Bilancio n. 197 del dicembre 2022. "Si tratta - suggerisce il Brambilla - della terza volta in 11 anni che i giudici incaricati si esprimono in questi termini, e proprio questo dovrebbe far riflettere: in occasione delle sue precedenti pronunce, infatti, la stessa Corte aveva infatti raccomandato che il taglio subito dalle pensioni di importo medio-alto fosse di breve durata, proporzionato e non ripetitivo".

Una condizione, soprattutto quella relativa alla non ripetitività, evidentemente non rispettata cui si aggiungono ulteriori questioni di natura tecnica ed etica da non sottovalutare. Nell’ultima pronuncia, in particolare, la Corte afferma che la mancata rivalutazione non è da considerarsi un prelievo forzoso, ma una misura economico-previdenziale che l’esecutivo può discrezionalmente decidere di mettere in campo, con il fine di favorire le pensioni più basse e al contempo portare avanti una progressiva riduzione del debito pubblico. E, se l’obiettivo di contenere la spesa resta in sé apprezzabile, severa è la condanna della pubblicazione nei confronti della scelta di farlo toccando ancora una volta la perequazione automatica, ormai utilizzata dallo Stato come leva contabile per fare Cassa, alla stregua di un prelievo forzoso: come possono i giovani fidarsi del sistema previdenziale se le regole del gioco sono destinate a cambiare continuamente, minando la certezza della correlazione tra versamenti contributivi e futuro importo degli assegni?

"La fiducia del sistema previdenziale - osserva Cuzzilla - si regge sulla certezza del diritto e sulla stabilità delle regole. Colpire chi ha versato quarant’anni di contributi significa rompere il patto sociale e generazionale. Non è un caso che la Corte Costituzionale abbia richiamato l’attenzione del legislatore su questi squilibri, e che il Tribunale di Trento abbia appena rinviato la questione per un nuovo esame. È un segnale che ci dà un cauto ottimismo: rimediare è possibile. Ma serve da un lato una scelta politica chiara: garantire la rivalutazione come avviene in tutti i principali Paesi europei e fare della prossima legge di bilancio una vera occasione di giustizia per quella parte del Paese che ha sempre lavorato, contribuito e pagato le tasse. Dall’altro lato serve una Corte coraggiosa, che oltre a tutelare giustamente il bilancio dello Stato, abbia il coraggio di analizzare nel dettaglio le tematiche previdenziali e faccia emergere storture che nelle ultime sentenze sono state illogicamente legittimate".