Direttiva europea sull'efficientamento energetico degli edifici: dal "Gretinismo immobiliare" al "Cretinismo parlamentare"

La direttiva europea sull'efficientamento energetico degli edifici comporterebbe, in Italia, secondo i dati dell'ANCE un dato terrificante: su 12,2 milioni di edifici residenziali oltre 9 milioni non sarebbero in grado di garantire le performance energetiche previste dalle nuove normative nei tempi, brevissimi, previsti dalla proposta di direttive comunitarie.

Tale direttiva ripropone le tematiche critiche tra rappresentatività inter (ed ultra) statuale europea, territorialità degli stati membri e capitalismo e tecnica che si dilatano nella spazialità planetaria nel perimetro dello stesso concetto di democrazia.

Risulta del tutto evidente infatti che tali regole di efficientamento, in astratto condivisibili, risultano inapplicabili nella loro "dogmaticità" a realtà immobiliari come quella italiana in cui è presente l'80% degli edifici di valenza storica a livello mondiale.

Certo si potrebbe pure pensare a efficientare con infissi in alluminio anodizzato il balcone in Verona di Giulietta e Romeo.

Secoli di storia e di letteratura uccisi dalla "grande bruttezza".

Tale direttiva però ripropone con forza sia il rapporto tra economia e democrazia e sia il rapporto tra democrazie nella loro individualità statuale ed Europa intesa come sovrastruttura delle singole democrazie: ad oggi sovrastruttura più economica che politica.

L'irrompere della logica dell'economia di mercato nel sistema democratico ne ha rappresentato una forte ragione di indebolimento.

La democrazia -  scrive Emanuele Severino in una delle lezioni bocconiane, raccolte sotto il titolo di Crisi della tradizione occidentale - è  una metodologia  che amministra il consenso politico. Del pari, l'economia di mercato è una metodologia  che amministra il consenso economico. Metodologia, in ambedue i casi, poichè democrazia politica ed economica di mercato designano insiemi di procedure, meccanismi calcolanti le qualità di consenso.

Severino  in particolare in due libri di grande rilievo -" Il declino del capitalismo" e "Il  destino della tecnica",sostiene che  la tecnica si va trasformando  da strumento in scopo del capitalismo, il quale  è un capitalismo  solo in apparenza, mentre  in realtà  è tecnocrazia, e cioè  l'agire che si propone  come scopo l'incremento indefinito della capacità di realizzare  scopi,  oltrepassando così  la volontà "ideologica" di realizzare un certo mondo invece di un altro. Da parte loro, i gruppi politici,- e il diritto - per i  quali l'uso o la minaccia  della coercizione fisica  sono indispensabili, hanno  bisogno dei mezzi  prodotti dalla tecnica: e così   la democrazia  è costretta  a subordinare il proprio scopo alla tecnica: ossia  ad assumere come scopo il funzionamento ottimale  della tecnica, e dunque, a non essere più democrazia (giacchè  un qualsiasi agire è ciò  che esso è in forza dello scopo a cui esso è ordinato).  In breve, lo sviluppo indefinito della tecnica - da strumento che era - diviene scopo e del capitalismo e della democrazia politica. L'approdo conclusivo è nel governo dei tecnici (affine alla posizione già enunciata da Ugo Spirito in Critica della democrazia).

In questo particolare momento storico la debolezza del sistema democratico rappresentativo e la sua sostituzione (sia pure con i caratteri delle temporaneità e della eccezionalità) con un sistema di governo dominata  dal tecnicismo (e cioè dalla presunta competenza specialistica) comporta la sottoposizione ai due processi che Bauman (Modernità e Ambivalenza) definisce di  taylorizzazione e fordizzazione.

L'effetto combinato dei due processi di taylorizzazione e fordizzazione  è  la creazione di una sovrastruttura  decisionale specializzata  al di sopra del livello  dell'effettiva esecuzione dei compiti, associata all'esclusione  degli esecutori da tutte le decisioni in cui è richiesta una competenza. 

Già Gramsci (Razionalizzazione della composizione demografica europea) notava con anticipatoria lucidità che il fordismo ed il taylorismo sul versante americano sarebbero stati connotati da un effetto "progressivo" mentre sul versante europeo e cioè su società demograficamente zavorrate da massicce sedimentazioni ne sarebbe stata caratterizzata da un segno "regressivo".

In tale scritto Gramsci sottolineava l'effetto perverso di una sconnessione temporale tra la modernità produttiva e l'arcaicità di un'Europa sospesa in una sorta di schizofrenia: "L'Europa - commenta Gramsci - vorrebbe avere la botte piena e la moglie ubriaca, tutti i benefici che il fordismo produce nel potere di concorrenza, pur mantenendo il suo esercito di parassiti che divorano masse ingenti di plusvalore, aggravano i costi iniziali e deprimono il potere di concorrenza sul mercato internazionale".

Sempre la lettura gramsciana, con sorprendente lucidità anticipatoria, metteva in guardia dal "cretinismo parlamentare" prodotto dalla specializzazione del ceto medio in "pura classe politica" con conseguente corruzione del relativo parlamento divenuto "una bottega di chiacchiere e di scandali"  organismo "corrotto fino alle midolla privato da ogni prestigio presso le masse popolari".

Certo lo scandalo del Qatargate invera le pessimistiche valutazioni di Gramsci e richiede un ulteriore elemento di analisi.

L'efficientamento energetico e la cosiddetta transizione ecologica non possono essere dogmi di fede ai quali la concreta economia e realtà delle cose deve essere sacrificata in senso escatologico: essendo il fine escatologico proprio delle religioni e non della politica.

Compito della politica, anche e soprattutto di quella europea, deve essere quello di una sintesi tra il fine (l'efficientamento energetico) e  l'analisi differenziata delle diverse  realtà immobiliari dei paesi membri che possono e devono cooperare in un preciso piano industriale, eventualmente accompagnato da idonei sussidi, e non certo sacrificati ad una ideologia avulsa dalla realtà economica territoriale.