29 anni fa moriva Frank Zappa, il più grande genio della storia del rock
Il compositore era a malapena 52enne quando fu stroncato dal cancro: e ci lascia a riflettere su cosa la sua sconfinata creatività ci avrebbe ancora potuto dare
Quando si parla dei "geni" del rock, dei musicisti in grado di stare al passo con i grandi maestri delle tradizione classica o del jazz, il nome di Frank Zappa è tra quelli più nominati. E c'è poco di cui stupirsi: il "Don Chishotte elettrico" è stata una figura unica nel suo genere, per la capacità di fondere ispirazioni e stili più svariati (dalla musica classica del '900 alle sigle dei cartoni animati, dal jazz-rock alla musica araba) in partiture ultra-complesse, cerebrali eppure dotate di un irresistibile umorismo. Quando scoprì di avere il cancro alla prostata, nel 1990, aveva ancora migliaia di idee e progetti da realizzare: com'è che il grande musicista italo-americano affrontò la morte? Che musica avrebbe creato se il cancro non si fosse messo in mezzo?
Ironia della sorte, Zappa morì proprio quando cominciava ad essere accettato come grande compositore
Sebbene oggi la reputazione di Zappa sia alle stelle (alcuni, letteralmente, lo divinizzano, altri non lo sopportano... è nella natura della sua musica l'essere divisa), e molti musicologi lo celebrano tra i massimi compositori del secolo, Zappa non fu capito dai suoi contemporanei. Per il pubblico generalista rock, Zappa era essenzialmente un umorista dissacrante, da ricordare per qualche massima salace e ben riuscita; per la critica colta, Zappa era troppo "pagliaccio", troppo esagerato per essere considerato un "compositore serio". Eppure, la grandezza di Zappa stava proprio nella capacità di coniugare i due aspetti, l'intricato e il ridicolo, il cerebralmente complesso e lo sberleffo osceno. Caratteristica che pochi riuscirono a capire.
Eppure, Zappa si considerava un compositore a tutto tondo: non solo perché si era formato sui classici del '900 (specialmente Edgar Varèse e Igor Stravinsky, i suoi padri spirituali), ma perché metteva nella musica che scriveva ed eseguiva un impegno allucinante, che esigeva dai suoi musicisti. L'accettazione di Zappa nel club dei "musicisti seri" fu molto facilitata dall'endorsement di Pierre Boulez, compositore leader nella corrente modernista, che accettò di dirigere alcuni composizioni zappiane per orchestra in The Perfect Stranger. Zappa era ormai lontano dalle vivaci big-band jazz o le mini-orchestre rock iperniate sui virtuosi: la sua intelligenza si dirigeva tutta nell'orchestra. A volte, utilizzava invece un Proto-computer, il Synclavier, che era in grado di eseguire le sue partiture mostruosamente difficili. Negli anni, Zappa era diventato sempre più chiuso in sé stesso, nella vita famigliare, nella routine da "impiegato della musica".
Eppure c'era già qualche segnale che le cose stessero cambiando: Zappa sviluppò un fortissimo interesse per le musiche etniche, da sempre latente nella sua opera (ad esempio, le melodie arabe, fonte di ispirazione per capolavori come Peaches en Regalia), ma stavolta molto più, appunto, "etnologico": come un antropologo, Zappa si divertiva a fare suonare assieme musicisti di tradizioni diversissime: monaci tibetani col loro "canto gutturale" assieme a band death metal, menestrelli irlandesi con musicisti ska; voleva fare conoscere culture musicali e personalità diverse fra di loro, e vedere cosa ne usciva. Insomma, c'è un intero mondo: una terza fase "etnica" dell'opera di Zappa (dopo la prima, jazz-rock, e la seconda, classica-atonale) che ci siamo persi. Perché nel 1990 a Frank venne diagnosticato il cancro alla prostata.
Non si può dire che Zappa avesse uno stile di vita sano. Mangiava tonnellate di burro d'arachidi, beveva più caffè che acqua e fumava stecche intere di sigarette. Ma la consapevolezza che sarebbe morto nel giro di pochi anni fu sconvolgente. Si rese conto che neanche la sua immaginazione sconfinata e la sua capacità incredibile di lavorare come un treno gli avrebbero permesso di realizzare tutto ciò che voleva realizzare. Intensificò i suoi sforzi per terminare Civilization: Phase III, che sarebbe stata la sua ultima opera. Finalmente, i suoi spartiti erano contesi in tutto il mondo. L'Ensemble Modern, una orchestra di giovani musicisti di estrazioni classica che erano cresciuti con la musica di Zappa, suonava le sue composizioni in prestigiose sale da concerto: segno che il suo lavoro di semina aveva dato i suoi frutti: le barriere tra musica "bassa" e "colta" erano cadute. Zappa poté dunque, nel settembre 1992, condurre personalmente l'orchestra dei suoi discepoli.
Un momento che dovette vivere come una conquista epocale: eppure, la sofferenza della malattia gli impedì di condurre tutto lo spettacolo. Vediamo, nei video, Zappa appoggiarsi esausto a un amplificatore, con il viso scavato dal dolore. Riuscì a condurre la sua Overture, uno pezzo stranissimo anche per gli standard di Zappa: senza ritmo (cosa bizzarra per un musicista che riusciva a cambiarlo 34 volte in canzoni di cinque minuti...), è una sorta di cupa nenia atonale per grande orchestra, dai timbri inquietanti e incantevoli, con un suono che sfiora quasi l'ambient. Non è difficile capire a cosa allude: è l'overture alla morte. L'ultima pernacchia di Zappa prima del grande mistero.
Frank passò gli ultimi mesi ad ascoltare i vinili R&B e Doo-woop che avevano animato la sua adolescenza. Affrontò l'ultima prova con stoicismo e coraggio: secondo la figlia Moon, "He bore his death with wonder", "affrontò la morte con meraviglia". Crediamo che nulla di più bello possa essere detto sulla morte di una persona.
Mentre veniva seppellito, il cantante irlandese Kevin Conneff realizzò l'ultimo desiderio di Zappa cantando The Green Fields of America, una delle sue canzoni preferite. Da allora, Zappa è un simbolo: di un anticonformista autentico, genio eclettico, compositore dalla mente di ferro ma senza alcun preconcetto. Ci ricorda, citando una delle sue frasi più amate, che "il compositore contemporaneo si rifiuta di morire".
Grazie, Frank.