Il bombardamento Usa contro la Nigeria del nord dominata dall'islamismo fondamentalista: pragmatismo e nuova posizione etica
con Trump torna l'ethos quale fattore geopolitico. Era dal 1989 che gli Usa si disinteressavano della persecuzione dei cristiani nel mondo
Strano giorno per bombardare, il 25 dicembre, il Natale di Gesù Cristo per tutti i cristiani nel mondo. Un giorno che fa pensare alla pace, alla dolcezza, alla tenerezza. Ma è un giorno meno strano per bombardare se parliamo di Nigeria, dove dal 1999 movimenti fondamentalisti hanno imposto la Sharia in alcuni stati del nord iniziando a perseguitare la popolazione cristiana, che stava crescendo (e continua a crescere anche oggi, anche nel nord). Da più di vent'anni quindi ogni anno migliaia di cristiani cattolici nigeriani vengono uccisi, sequestrati, minacciati, massacrati con attentati e bombe nelle Chiese, nei mercati, nelle città. Ricordiamo il giovane seminarista. Naturalmente i nuovi Usa di Trump non sono i cavalieri delle favole che lottano senza macchia e senza paura contro il male ovunque si trovi, restano sempre un Impero (spietati come ogni Impero per la tutela dei loro interessi) ma non possiamo neppure ignorare il cambio di paradigma in corso: per la prima volta si è data una motivazione etica (la difesa dei cristiani dalle persecuzioni) dopo anni di oblio, censura e disinteresse generale e mondiale. Poteva non darsi questa motivazione e invece si è puntato su questo e oggi dentro l'attuale guerra mondiale asimmetrica in corso (tutti contro tutti) il tema etico-psicosociale e comunicativo rappresenta un fattore importante e strutturalmente coagente con le altre motivazioni strategiche. Basta vedere l'importanza delle risorse naturali e della posizione geografica della Nigeria per capire l'importanza di questa scelta: colpire chi massacra i cristiani e farlo proprio il 25 dicembre. Il sottotesto è evidente, dal punto di vista Usa: fermare la guerra del nord contro la Nigeria del sud, a maggioranza cattolica. Gli Usa hanno buoni rapporti con Camerun, Nigeria e Benin mentre si sono ritirati militarmente da Ciad, Mali e Niger, dove appare in crescita l'influenza russo-cinese che sta premendo anche dentro un Sudan squassato da una terribile guerra civile, in parte eterodiretta. In questo contesto drammatico e conflittuale la Nigeria appare un'area di grande importanza che non può restare in bilico a lungo a pena di collassare nell'incapacità di sostenere ancora vent'anni di tensioni e spietata guerriglia. La scelta degli Usa appare quindi quasi necessitata: o continuare a ritirarsi oppure rilanciare e Trump ha rilanciato il ruolo Usa in Africa alla grande e conferendo all'azione militare il massimo valore simbolico possibile: la difesa di popolazioni inermi che vengono perseguitate per la loro fede. Una scelta molto chiara e che non possiamo considerare solo retorica in quanto corrisponde pienamente alla base elettorale trumpiana e all'anima profonda degli Usa connotata da un misto di nazionalismo, fede cristiana e conservatorismo etico. La Nigeria è in crescita, come il Ghana, e la maggior parte dell'Africa equatoriale (l'Africa nera) e dell'Africa meridionale è di fede cristiana. La mossa astuta degli Usa avrà certamente un effetto positivo in tutta questa area, migliorando l'immagine statunitense che per la prima volta si pone quale alleato in termini di reale sicurezza e stabilità, le condizioni basiche per una crescita economica affidabile e a lungo termine. La stabilizzazione della Nigeria è l'unica via che gli Usa hanno per rilanciare la loro influenza in Africa e impedire che si crei un "effetto domino" pro Brics nella fascia sahariana.