Geografia, non ideologia: perché l’Europa tornerà a fare i conti con la Russia quando la propaganda avrà finito di parlare

Dalle parole di Fico al caos strategico occidentale: sanzioni, guerra narrativa e realismo geopolitico mostrano che Mosca resta un fatto strutturale, non un’opinione

Il realismo di Fico e lo scandalo della normalità

Robert Fico ha detto ad alta voce ciò che molti governi europei pensano in silenzio: la guerra finirà e, quando accadrà, i Paesi dell’Europa centrale torneranno a commerciare con la Russia. Non per simpatia, non per ideologia, ma per geografia. La Slovacchia non si è spostata di continente, né la Russia ha smesso di essere il grande vicino orientale. Le sanzioni non modificano le mappe: al massimo impoveriscono chi le applica con zelo dogmatico.

Energia e interessi nazionali: la lezione ignorata

Quando Fico ricorda che il gas russo era il più conveniente, non fa propaganda: descrive un dato economico. Per decenni l’Europa ha costruito la propria competitività su energia abbondante e a basso costo proveniente da Est. Sostituirla in nome di una guerra ideologica ha prodotto inflazione, perdita di competitività industriale e dipendenza da fornitori più costosi. Qui non parla un “putiniano”, ma un politico che mette al centro i cittadini, non i comunicati di Bruxelles.

La guerra come teatro narrativo

Nel conflitto russo-ucraino, la dimensione militare è ormai inseparabile da quella informativa. Le valutazioni di intelligence non restano nei dossier riservati: diventano titoli, strumenti di pressione politica, armi retoriche. Il recente scambio tra indiscrezioni attribuite all’intelligence statunitense, smentite ufficiali e replica del Cremlino non ha cambiato nulla sul terreno. Ha però cambiato il frame: non più “come fermare la guerra”, ma “quanto è grande la minaccia russa”.

Intenzioni contro capacità: una distinzione cruciale

Mosca viene descritta come potenza intenzionata a dominare l’intera Europa orientale. Ma un’analisi seria distingue tra intenzioni e capacità. La Russia combatte una guerra dura, costosa, localizzata. Non mostra alcun interesse razionale per uno scontro diretto con la NATO, che sarebbe suicida. Lo stesso Cremlino continua a ribadire che la postura occidentale, non un piano espansionistico globale, è il vero fattore di destabilizzazione.

Washington, Mosca e la vera variabile: l’Europa

Qui emerge il nodo strategico rimosso. Per gli Stati Uniti, la Russia è un avversario noto, prevedibile, con limiti strutturali evidenti. L’Europa, invece, diventa problematica solo se smette di essere frammentata e dipendente. Un’Europa armata, industrialmente rilanciata e politicamente autonoma potrebbe entrare in competizione con Washington su commercio, tecnologia, regole e valuta. Per questo la gestione della “minaccia russa” serve anche a disciplinare gli alleati, non solo a contenere Mosca.

Sanzioni e grottesco strategico

Nel frattempo, l’Occidente indulge in una politica estera fatta di gesti simbolici: proclami, sanzioni seriali, minacce alla Cina. Sanzionare Pechino è l’idea di chi confonde la geopolitica con un post sui social. La Cina non si punisce: si registra. È una placca tettonica del sistema mondiale. E Mosca lo sa bene, avendo imparato a convivere con un mondo multipolare mentre l’Europa resta prigioniera di una retorica da Guerra Fredda.

Quando la propaganda finirà

La guerra non durerà per sempre. E quando finirà, molti scopriranno che la realtà aveva ragione prima della propaganda. I rapporti economici con la Russia riprenderanno, magari senza entusiasmo, ma con pragmatismo. Chi oggi viene accusato di tradimento per aver ragionato domani verrà chiamato realista. Perché la geopolitica, alla fine, non premia chi urla più forte, ma chi capisce dove si trova. E la Russia, piaccia o no, è ancora lì.