Ucraina, l’inverno della diplomazia: perché per Mosca il “piano Trump” è solo l’inizio e non la fine del negoziato
La leadership russa vede la guerra come un confronto strategico con la NATO. L’inverno, gli obiettivi territoriali e la disputa interna tra “dialoganti” e “falchi” definiranno la forma del futuro ordine europeo.
Il calcolo del Cremlino
La discussione interna in Russia sul conflitto ucraino non è meno vivace di quella americana. Le élite strategiche concordano su un punto: gestire la guerra significa stabilire fino a dove spingersi, quale sia il risultato minimo accettabile e quale prezzo debbano pagare Ucraina e NATO per una stabilizzazione duratura. Al centro rimane Putin, arbitro e garante della linea. Non sorprende che il presidente russo abbia definito il cosiddetto “piano Trump” una “ottima base di partenza” — di partenza, non di arrivo: un messaggio chiaro su quanto Mosca ritenga ancora aperta la partita.
L’inverno russo
La nuova stagione fredda non è mai stata un ostacolo per l’esercito russo: storicamente è piuttosto un moltiplicatore di vantaggio operativo. La priorità resta consolidare e completare la liberazione/annessione delle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporozhje e Kherson, considerate formalmente parte della Federazione. Raggiungere questi obiettivi significa presentarsi al tavolo negoziale con carte decisive e privare Kiev di margini di pressione. Odessa rimane un’incognita: un obiettivo possibile nel negoziato finale, ma non una condizione preliminare.
A Mosca si valuta un’eventualità che in Europa è quasi un tabù: il crollo del fronte ucraino. Uno scenario che, se realizzato, renderebbe impossibile qualsiasi trattativa equilibrata, aprendo la strada a una resa incondizionata di Kiev. Per evitarlo, alcuni paesi europei potrebbero ipotizzare l’invio di truppe regolari. Ma sarebbe un salto drammatico: coinvolgerebbe non l’intera NATO, bensì singoli stati — un rischio che cambierebbe radicalmente la postura russa.
Nel dibattito strategico russo convivono due linee. La corrente più dialogante punta a logorare l’Occidente nel tempo, integrando popolazioni russofone e accentuando le contraddizioni interne dell’UE e della NATO. L’ala più bellicosa, invece, ritiene necessaria una dimostrazione di forza — anche tramite un’arma tattica in territorio ucraino — per imporre all’Occidente una nuova architettura di sicurezza europea, che riconosca definitivamente le “linee rosse” russe.
Mosca e l'Europa
Qui si inserisce la lettura di studiosi come Mearsheimer, secondo cui la crisi europea nasce dalla collisione fra tre fattori: – il declino dell’unipolarismo americano, – il ritorno della Russia come attore di sicurezza europeo, – l’espansione a est della NATO, percepita da Mosca come minaccia esistenziale. La guerra ucraina non è dunque un progetto imperiale russo, ma il risultato — secondo questa visione — di un errore strategico occidentale.
Prospettive per il 2026
La convinzione prevalente negli ambienti russi è che non ci sarà alcun negoziato sostanziale prima della fine del 2026. Troppi gli incogniti: il ritmo della controffensiva russa, l’evoluzione della politica americana, la stabilità economica europea, la tenuta del sistema-Ucraina. Mosca mira a un equilibrio che garantisca confini sicuri, indipendenza strategica e riconoscimento delle sue sfere di influenza. L’Europa, priva del “pacificatore americano” del periodo unipolare, rischia invece una stagione prolungata di instabilità. La guerra in Ucraina non è solo un conflitto territoriale: è lo scontro fra due modelli di sicurezza incompatibili. Per la Russia, il negoziato potrà iniziare solo quando il campo avrà chiarito i rapporti di forza. E l’inverno — ancora una volta — parla la lingua di Mosca.