Taiwan riaccende il confronto, Giappone e Cina sull’orlo della rottura: premier nipponico Takaichi innesca la peggiore crisi diplomatica dal 2023
Le parole della Premier nipponica Sanae Takaichi, che il 7 novembre ha dichiarato in Parlamento come un ipotetico attacco cinese a Taiwan potrebbe costituire una "situazione di minaccia esistenziale" secondo la Legislazione per la Pace e la Sicurezza, autorizzando così il Giappone ad agire militarmente in difesa collettiva, hanno sollevato un enorme polverone che ha fatto il giro del mondo
Le relazioni tra Cina e Giappone sono entrate in una fase critica nel novembre 2025, dopo una disputa sulla posizione giapponese riguardo lo status politico di Taiwan. Al centro della tempesta diplomatica, le parole della Premier nipponica Sanae Takaichi.
Mentre Tokyo schiera missili a 110 km dall'isola, Pechino risponde con sanzioni economiche e minacce militari
Una dichiarazione senza precedenti. Le parole della Premier nipponica Sanae Takaichi, che il 7 novembre ha dichiarato in Parlamento come un ipotetico attacco cinese a Taiwan potrebbe costituire una "situazione di minaccia esistenziale" secondo la Legislazione per la Pace e la Sicurezza, autorizzando così il Giappone ad agire militarmente in difesa collettiva, hanno sollevato un enorme polverone che ha fatto il giro del mondo. Nessun premier giapponese del dopoguerra aveva infatti mai esplicitato pubblicamente l'intenzione di Tokyo di entrare in guerra con Pechino per Taiwan. È stata la prima volta che una dichiarazione così esplicita è stata fatta da un Primo Ministro giapponese in carica (NBC News), rompendo decenni di ambiguità strategica che aveva caratterizzato la posizione nipponica sulla questione taiwanese.
La risposta cinese: da diplomatica a bellicosa
La reazione di Pechino non si è fatta attendere. Il console generale cinese a Osaka, Xue Jian, ha pubblicato su X un commento che molti hanno interpretato come una minaccia diretta alla Premier: "la testa sporca che si intromette sconsideratamente deve essere tagliata senza un attimo di esitazione" (Al Jazeera). Il post è stato poi rimosso dopo le proteste ufficiali giapponesi, ma il danno diplomatico era ormai fatto. La Cina ha minacciato di invocare le cosiddette “enemy state clauses" della Carta dell'ONU(clausole sugli stati nemici, Carta delle Nazioni Unite, articoli 53 e 107, clausole che furono inserite nel 1945 e si riferiscono agli stati che erano nemici dei firmatari della Carta durante la Seconda Guerra Mondiale, essenzialmente Germania, Giappone e Italia. In teoria, permetterebbero azioni militari contro questi Paesi senza necessità di autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, se questi intraprendessero politiche aggressive simili a quelle del periodo bellico), implicando una possibile azione militare contro il Giappone. Ha poi innalzato il livello verbale di scontro diplomatico il portavoce del Ministero della Difesa nazionale, Jiang Bin, ha avvertito che se Tokyo intervenisse in un conflitto tra Cina e Taiwan, subirebbe una sconfitta schiacciante da parte dell'Esercito Popolare di Liberazione. Le parole si sono trasformate rapidamente in azioni concrete. La Cina ha sospeso la proiezione di almeno due film giapponesi, vietato i prodotti ittici giapponesi e posticipato un incontro trilaterale dei ministri della cultura con Giappone e Corea del Sud (Al Jazeera). Il 15 novembre, Pechino ha emanato un avviso di viaggio per i propri cittadini, sconsigliando le visite in Giappone.
L'arma economica: il precedente delle terre rare
L'escalation economica richiama inquietanti precedenti. Nel 2010, durante una disputa sulle isole Senkaku/Diaoyu, la Cina impose un embargo commerciale su tutte le esportazioni verso il Giapponedi alcuni elementi cruciali delle terre rare (CNBC). Sebbene il dibattito sulla portata effettiva di quell'embargo sia ancora aperto, il messaggio politico fu chiaro: Pechino è disposta a usare la propria posizione dominante sui minerali critici come leva diplomatica. Oggi la Cina è il secondo mercato di esportazione del Giappone dopo gli Stati Uniti, con Tokyo che vende principalmente attrezzature industriali, semiconduttori e automobili a Pechino per un valore di circa 125 miliardi di dollari nel 2024 (Al Jazeera). La minaccia di nuove restrizioni sulle terre rare - di cui la Cina controlla il 79% della produzione mondiale - pende come una spada di Damocle sull'industria high-tech giapponese.
Missili a Yonaguni: la militarizzazione accelera
Mentre le tensioni diplomatiche si intensificavano, il Ministro della Difesa giapponese Shinjiro Koizumi si recava sull'isola di Yonaguni, a soli 110 chilometri da Taiwan, per ribadire i piani di schieramento di missili superficie-aria. La base ospita già missili superficie-aria Type-12 e Type-03, mirati a contrastare la crescente presenza cinese nelle acque intorno a Taiwan e nel Mar Cinese Orientale (Stars and Stripes). Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Mao Ning ha definito questa mossa "estremamente pericolosa", sostenendo che costituisce un tentativo deliberato di "creare tensioni regionali e provocare confronto militare" (NBC News). Per Pechino, lo schieramento militare giapponese a Yonaguni rappresenta un tassello della strategia USA-Giappone per costruire una barriera anti-accesso lungo la prima catena di isole. La scelta di Yonaguni non è casuale. L'isola fa parte dell'arcipelago delle Ryukyu e rappresenta il punto più occidentale del territorio giapponese sotto controllo effettivo. In caso di conflitto su Taiwan, diventerebbe inevitabilmente un obiettivo strategico primario.
Senkaku/Diaoyu: la pressione costante
Sullo sfondo della crisi Taiwan, continua l'attrito sulle isole Senkaku (Diaoyu per la Cina), controllate dal Giappone ma rivendicate da Pechino. Nel 2024, navi governative cinesi sono state avvistate nella zona contigua delle isole contese per 355 giorni su 366, stabilendo un record per il terzo anno consecutivo (The Diplomat). Un totale di 1.351 navi governative cinesi hanno operato in quelle acque nel corso dell'anno. Negli ultimi anni, quattro navi della Guardia Costiera cinese effettuano regolarmente incursioni cerimoniali nelle acque territoriali delle isole una volta al mese, in quella che fonti giapponesi definiscono un'azione per creare un alibi per l'applicazione della legge cinese. Un lento ma costante logoramento della sovranità giapponese attraverso la presenza persistente.
Takaichi: nazionalismo di destra e debolezza politica
Chi è Sanae Takaichi e perché ha scelto questo momento per rompere l'ambiguità strategica su Taiwan? A 64 anni, veterana della politica con oltre tre decenni di esperienza, Takaichi è considerata l'erede ideologica di Shinzo Abe, con una miscela di sentimento nazionalista, politica economica assertiva e focus su "forza e orgoglio del Giappone" (Defence24).
La premier giapponese è nota per le sue posizioni di estrema destra:
- visita regolarmente il controverso santuario Yasukuni dove sono venerati criminali di guerra di classe A (dopo la Seconda Guerra Mondiale, il Tribunale Militare Internazionale per l'Estremo Oriente - noto come Processo di Tokyo, 1946/1948 - classificò i criminali di guerra giapponesi in tre categorie, A-B e C, in ordine decrescente in base al tasso di criminalità, quelli classificati come Classe A sono quindi i peggiori, ovvero così classificati per crimini contro la pace. 14 di questi criminali di Classe A sono attualmente venerati a Yasukuni), per cui sostanzialmente è come se un leader tedesco visitasse un santuario dove fossero venerati i gerarchi nazisti condannati a Norimberga
- nega i crimini di guerra giapponesi
- e sostiene la revisione dei libri di testo per rimuovere espressioni di pentimento.
- Oppone inoltre il matrimonio tra persone dello stesso sesso e l'uso di cognomi separati per le coppie sposate.
Ma dietro la facciata di forza si nasconde una fragilità politica. Guidando un'amministrazione fragile dopo che il Partito Liberal Democratico ha perso la maggioranza, Takaichi sta alimentando sentimenti nazionalisti su Taiwan per consolidare la sua base conservatrice e deviare l'attenzione da questioni interne urgenti come inflazione e scandali di finanziamento politico (South China - Morning Post). Alcuni analisti vedono nelle sue dichiarazioni un calcolo elettorale: proiettare forza internazionalmente - specialmente verso la Cina - per mobilitare gli elettori di destra e trasformare il malcontento domestico in una narrativa di minaccia esterna. Una strategia rischiosa che potrebbe isolare Tokyo nel momento di massima volatilità strategica regionale.
Trump nel mezzo: moderatore o complicatore?
L'amministrazione Trump ha cercato di inserirsi nella disputa. Il Presidente USA ha parlato sia con Xi Jinping che con Takaichi, avviando lui stesso le chiamate secondo quanto dichiarato da entrambi i Paesi (NBC News). Secondo alcune fonti, Trump avrebbe consigliato a Takaichi di non innalzare ancor più le tensioni già fortemente presenti sul tavolo, anche se il governo giapponese avrebbe smentito tali raccomandazioni. L'ambiguità della posizione americana complica ulteriormente il quadro. Mentre l'ambasciatore USA in Giappone, George Glass, ha assicurato che Washington “difenderà Tokyo", lo stesso Trump ha evitato di commentare pubblicamente la disputa, concentrandosi invece sugli accordi commerciali con la Cina. Taiwan non è stata menzionata nel post di Trump sulla telefonata con Xi.
Le memorie della guerra e il peso della storia
Uno sguardo alla storia mostra che usare "situazione di minaccia alla sopravvivenza" e "autodifesa" come pretesto è una tattica tipica del militarismo giapponese per lanciare aggressioni. Nel 1931, Tokyodefinì la questione della "Manciuria" come esistenziale per giustificare l'incidente del 18 settembre e l'invasione della Cina nordorientale. La stessa logica venne usata per espandere la guerra a tutta l'Asia e attaccare Pearl Harbor. La Cina dal canto suo è acutamente sensibile alla rimilitarizzazione giapponese a causa della brutale guerra condotta dall'imperialismo giapponese per conquistare e sottomettere prima la Manciuria e poi tutta la Cina negli anni '30. Le memorie delle atrocità commesse dall'esercito giapponese - dal massacro di Nanchino (furono uccisi tra 200.000 e 300.000 civili e prigionieri di guerra cinesi, decine di migliaia di donne violentate, torture, decapitazioni) - alle unità 731 (Unità segreta dell'esercito giapponese in Manciuria che conduceva esperimenti di guerra batteriologica e chimica su esseri umani vivi. Le vittime erano principalmente civili cinesi e prigionieri che subivano esperimenti da film horror di ogni tipo e genere: vivisezioni senza anestesia, congelamento di arti, iniezione di agenti patogeni - peste, colera, antrace - test di resistenza umana estrema), sono profondamente radicate nella coscienza collettiva cinese.
In conclusione, nel corso di questa pesante disputa diplomatica, la posizione cinese è stata molto ferma e risoluta, insistendo che ci sono solo due possibilità per risolvere la disputa: che Takaichi ritiri le sue dichiarazioni su Taiwan o che si dimetta (The Diplomat). Naturalmente Tokyo ha respinto entrambe le opzioni. La Premier ha rifiutato di ritrattare, sostenendo che le sue parole sono coerenti con la posizione esistente del governo giapponese.
E’ un gioco molto azzardato e pericoloso quello che sta conducendo la Premier giapponese, e non solo per il Sud Est asiatico, dato che tutti noi dovremmo ben ricordare che sulla questione di Taiwan, la Cina è improbabile che agisca in modo freddo e razionale se viene spinta in un angolo(Time). Naturalmente questo non significa che Pechino abbia piani consolidati per invadere Taiwan nel prossimo anno o due, ma viviamo in un'era di crescente tensione e rischio. Nel frattempo, il Giappone sta rapidamente espandendo le sue capacità di difesa: nuove flotte di sottomarini e il potenziale schieramento di missili a medio raggio su isole come Yonaguni segnano un problema di sicurezza più ampio.
Per il Giappone, il destino di Taiwan è inseparabile dalla propria sopravvivenza nazionale. Qualsiasi blocco o attacco cinese a Taiwan circonderebbe le linee di rifornimento giapponesi. Per la Cina, Taiwan rimane parte inalienabile del territorio nazionale, e qualsiasi interferenza esterna - specialmente militare - rappresenta una linea rossa inviolabile. La crisi diplomatica del novembre 2025 potrebbe essere solo l'antipasto di una stagione prolungata di confronto nel Pacifico occidentale, dove storia non risolta, ambizioni geopolitiche contrapposte e fragilità politiche interne si intrecciano in un cocktail potenzialmente esplosivo.
Di Eugenio Cardi