Palestina, report 'Framing Gaza' denuncia: "Le 8 principali testate occidentali hanno un bias strutturale pro-Israele e sionista"
Lo studio “Framing Gaza” analizza 54.449 articoli: grande stampa occidentale cita “Israele” in misura massiccia rispetto a “Palestina”, svelando un bias strutturale
Il nuovo report di Media Bias Meter, "Framing Gaza", è incentrato completamente sulla percezione della questione israelo-palestinese, soprattutto in merito al genocidio nella Striscia. Dal rapporto è emerso che le otto principali testate occidentali abbiano un "bias strutturale pro-Israele e sionista".
Palestina, report 'Framing Gaza' denuncia: "Le 8 principali testate occidentali hanno un bias strutturale pro-Israele e sionista"
Un rapporto pubblicato il 20 novembre dal progetto Media Bias Meter, intitolato “Framing Gaza”, ha analizzato 54.449 articoli pubblicati tra ottobre 2023 e agosto 2025 da otto tra le maggiori testate occidentali: The New York Times, BBC, Le Monde, The Globe and Mail, The Guardian, Reuters, AP e AFP. Il risultato è un quadro chiaro: una massiccia sproporzione nell’uso delle parole “Israele” e “Palestina” sia nei titoli sia nei corpi degli articoli.
Il caso più eclatante è quello del New York Times, che secondo il dataset ha usato “Israele” 1.868 volte nei titoli, contro appena 10 occorrenze di “Palestina”: un rapporto di 187 a 1. Ma lo squilibrio non è isolato.
La BBC registra 1.100 citazioni di “Israele” e 91 di “Palestina”; Le Monde 1.087 contro 65; il quotidiano olandese De Telegraaf 952 contro 65.
La tendenza prosegue nei testi degli articoli: nel campione analizzato, il New York Times cita “Israele” 69.653 volte, mentre “Palestina” compare solo 2.411 volte. Anche gli altri media mostrano dinamiche simili: Der Spiegel 32.169 contro 1.323; BBC 26.839 contro 1.619; Le Monde 15.772 contro 2.146.
Il rapporto evidenzia inoltre che quando “Palestina” compare in un titolo, oltre la metà dei casi riguarda proteste (“proteste pro-Palestina”) o gruppi di attivismo, piuttosto che riferimenti ai palestinesi, al territorio o alla realtà politica sul campo. Ciò contribuisce a una rappresentazione frammentata e spesso decontestualizzata.
Gli autori del rapporto sottolineano che l’assenza della parola “Palestina” non è dovuta a criteri giornalistici di riconoscimento formale, ma a una “inconvenienza narrativa”, coerente con studi precedenti sul controllo del discorso da parte delle autorità politiche e militari israeliane. Il documento colloca questo squilibrio nel più ampio contesto di un ecosistema informativo dove prevalgono "frame" securitari, linguaggi asimmetrici e la normalizzazione dell’ottica israeliana come punto di vista dominante.
In un periodo segnato da genocidio, propaganda digitale e repressione delle voci palestinesi, "Framing Gaza" pone una domanda cruciale: può esistere informazione libera se una delle parti viene sistematicamente nominata – e quindi percepita – molto meno dell’altra?