Usa, quando la deportazione bussa alla Casa Bianca: la storia di Bruna Ferreira, arrestata dall'ICE mentre andava a prendere il figlio a scuola
La vicenda di Bruna Ferreira è diventata un simbolo di quanto in profondità stiano penetrando le operazioni di deportazione dell'amministrazione Trump. Secondo i dati, dall'inizio del secondo mandato, l'ICE (Immigration and Customs Enforcement) ha aumentato gli arresti di oltre il 50%, raggiungendo 150.000 detenuti a novembre 2025
La vicenda ha tutti gli elementi del paradosso politico americano. Bruna Ferreira, una brasiliana di 33 anni ex fidanzata del fratello della portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, è stata fermata dall'ICE mentre si dirigeva in auto a prendere il figlio undicenne da scuola (The Washington Post – CNN). Ora si trova in un centro di detenzione in Louisiana, a quasi tremila chilometri dalla sua vita, dalla sua famiglia, dal figlio che non vede da settimane.
Interrogativi inquietanti sulla campagna di espulsioni dell'amministrazione Trump
La notizia, emersa il 25 novembre attraverso WBUR di Boston, ha rapidamente assunto dimensioni nazionali. Non tanto per l'arresto in sé – ormai routine quotidiana nell'America di Trump – quanto per la parentela: Ferreira è madre del nipote di Karoline Leavitt, l'ex fidanzata di Michael Leavitt, fratello della portavoce presidenziale, con cui ha avuto un figlio prima della loro separazione (The Daily Beast).
Una storia americana
Bruna è arrivata negli Stati Uniti dal Brasile all'età di sei anni insieme ai genitori nel dicembre 1998. Ha costruito una vita che somiglia a quella di qualsiasi americana: ha giocato nella squadra di tennis del liceo, si è sposata e divorziata, ha avviato un'impresa di pulizie domestiche, ha cresciuto suo figlio. La sorella Graziela Dos Santos Rodrigues l'ha descritta al Boston Globe come "più americana di qualsiasi altra cosa" (CNN). Secondo il suo avvocato, Todd Pomerleau, Ferreira aveva beneficiato del programma DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals), l'iniziativa dell'era Obama che proteggeva dalla deportazione gli immigrati arrivati bambini. Non aveva potuto rinnovare il suo status alcuni anni fa durante i tentativi della prima amministrazione Trump di smantellare il programma, ma era nel mezzo di un processo legale per ottenere la cittadinanza statunitense (CNN).
La versione del governo
Il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale ha però un'altra narrazione. Nella dichiarazione ufficiale, l'agenzia definisce Ferreira una "criminale immigrata clandestina" con un precedente arresto per aggressione. Il portavoce ha specificato che era entrata con un visto turistico B2 che richiedeva la sua partenza entro il 6 giugno 1999 (WCVB). L'avvocato Pomerleau respinge categoricamente queste accuse: "Bruna non ha alcun precedente penale. Non so da dove venga questa affermazione. Mostrateci le prove". E in effetti, i database giudiziari pubblici del Massachusetts non mostrano alcuna traccia di accuse per aggressione a carico di Ferreira. La contraddizione è lampante: da un lato un'amministrazione che la presenta come una criminale, dall'altro l'assenza di documentazione che supporti tale definizione. Pomerleau ha anche sottolineato un'assurdità procedurale: "Una bambina di sei anni non è responsabile di violare la legge. Una persona come lei sarebbe responsabile della violazione del visto solo sei mesi dopo il diciottesimo compleanno. A quel punto, aveva già il DACA, che è un processo legale".
Il dramma familiare
Michael Leavitt, il padre del bambino, ha mantenuto un profilo basso, dichiarando laconicamente che la sua "unica preoccupazione è sempre stata la sicurezza, il benessere e la privacy di mio figlio". Ha confermato che, sebbene il bambino viva a tempo pieno con lui e la sua nuova moglie nel New Hampshire, Ferreira ha sempre mantenuto un rapporto con il figlio. Fino all'arresto. Secondo la sorella di Bruna, lei visitava regolarmente il New Hampshire, cucinava piatti brasiliani per il figlio e lo portava al Dave & Buster's (CNN). Ora il bambino non parla con la madre da settimane. Durante l'arresto, secondo quanto riferito da Graziela al Boston Globe, Bruna avrebbe ripetutamente detto alle autorità che la zia di suo figlio era la portavoce della Casa Bianca, forse nel disperato tentativo di trovare una via d'uscita.
Il silenzio di Karoline Leavitt
La portavoce della Casa Bianca, una delle voci più prominenti a sostegno della campagna di deportazioni di Trump, ha scelto il silenzio. Un funzionario dell'amministrazione ha confermato che Karoline Leavitt e Ferreira non si parlano da anni. La Casa Bianca ha fatto sapere che Leavitt "non ha avuto alcun coinvolgimento in questa vicenda". L'ironia della situazione non sfugge a nessuno. Leavitt, 28enne nativa del New Hampshire salita rapidamente all'attenzione nazionale, difende quotidianamente dalla sala stampa della Casa Bianca le politiche di deportazione più aggressive della storia recente americana. Ora quelle stesse politiche hanno toccato la sua famiglia, seppur in una relazione distante e complicata.
La mobilitazione e la raccolta fondi
Graziela Dos Santos Rodrigues ha avviato una campagna GoFundMe per coprire le spese legali della sorella, con l'obiettivo di raccogliere 30.000 dollari. Finora sono stati raccolti oltre 16.000 dollari. Nel testo della campagna, Graziela scrive: "Bruna è stata portata negli Stati Uniti dai nostri genitori nel dicembre 1998, quando era solo una bambina. Da allora, ha fatto tutto il possibile per costruirsi una vita stabile e onesta qui. Ha mantenuto il suo status legale attraverso il DACA, ha seguito ogni requisito e ha sempre cercato di fare la cosa giusta".
Un caso simbolico
La vicenda di Bruna Ferreira è diventata un simbolo di quanto in profondità stiano penetrando le operazioni di deportazione dell'amministrazione Trump. Secondo i dati, dall'inizio del secondo mandato, l'ICE ha aumentato gli arresti di oltre il 50%, raggiungendo 150.000 detenuti a novembre 2025 (Mix Vale).
Il trasferimento di Ferreira in Louisiana – a quasi tremila chilometri da casa – solleva questioni pratiche e umane. Come può una famiglia con risorse limitate gestire visite, comunicazioni e assistenza legale a tale distanza? Come si protegge un bambino di undici anni dal peso di questa situazione?
La storia pone domande fondamentali: chi merita di restare in America e chi deve andarsene? Una bambina portata nel paese a sei anni, che ha costruito una vita qui, che paga le tasse, che ha un figlio cittadino americano, è davvero una priorità per la deportazione? O è semplicemente finita nel tritacarne di una campagna di espulsioni indiscriminate che non distingue più tra criminali pericolosi e madri che vanno a prendere i figli a scuola? Le udienze di deportazione sono previste per dicembre 2025. Fino ad allora, Bruna Ferreira resterà in un centro di detenzione in Louisiana, lontana dal figlio che spera di rivedere per le feste. E l'amministrazione che ha promesso di "ripulire" l'America dagli immigrati clandestini continuerà a separare famiglie, anche quando queste hanno legami, per quanto complicati, con le stanze del potere. La Casa Bianca non ha commentato. Ma forse questo silenzio dice più di qualsiasi dichiarazione ufficiale.
Di Eugenio Cardi