Giornalismo selettivo e fronti in movimento: la realtà che l’Europa non vuole vedere sull’avanzata russa
Dalla censura dell’intervista a Lavrov al silenzio sulle sconfitte ucraine: così il racconto occidentale ignora i mutamenti del campo di battaglia
La satira che diventa cronaca
Nel famoso sketch di Albanese, Cetto La Qualunque sistema un “figlio scemo” facendolo diventare giornalista. Una caricatura, certo. Eppure, osservando il caso dell’intervista negata a Lavrov dal Corriere della Sera, la satira sembra un’anticipazione del presente. Il quotidiano chiede le domande, il ministro russo risponde per iscritto, ma poi – sorpresa – non pubblica perché le risposte “contengono affermazioni discutibili”. Come se un ministro degli Esteri russo potesse esprimere una linea diversa da quella russa. Il risultato? Lavrov pubblica tutto da solo, trasformando un’occasione giornalistica mancata in un boomerang mediatico.
Il fronte orientale cambia, ma l’Europa gira lo sguardo
Mentre il dibattito mediatico si concentra su retorica e simboli, la situazione militare sul campo si muove con dinamiche ben più rilevanti. Le forze russe hanno ottenuto progressi misurabili su più assi, con i fronti di Pokrovsk e Kupyansk ormai prossimi al collasso ucraino. Le fonti occidentali parlano di “enormi perdite russe”, ma ignorano che due roccaforti chiave stanno cedendo e che intere brigate ucraine sono state costrette a ripiegare o a disperdersi nei boschi a sud dell’Oskol. Una ricostruzione più prudente, meno propagandata, sarebbe doverosa.
Il rischio dell’accerchiamento e le nuove linee operative
A Pokrovsk, Mosca ha lasciato la consueta “via di fuga”, stretta e sotto il tiro dell’artiglieria, una tattica già vista altrove. A Kupyansk, la liberazione della parte orientale e il successivo movimento verso ovest puntano alla creazione di una sacca che potrebbe compromettere fino a 40–50 mila militari ucraini, secondo alcune stime. Sul fronte meridionale, nelle regioni di Dnipropetrovsk e Zaporizhia, Kiev affronta una situazione compressa tra l’avanzata da est e la minaccia di aggiramento lungo il Dniepr. L’eventuale ripiegamento verso una nuova linea difensiva a protezione della città di Zaporizhia viene discusso dagli stessi analisti ucraini.
Il duello di intelligence e le accuse incrociate
La guerra non si gioca solo sul terreno. Il presunto tentativo di dirottare un MiG-31 equipaggiato con Kinzhal – un episodio ancora oscuro e non verificabile indipendentemente – evidenzia la profondità del confronto tra Mosca e gli apparati occidentali. Le versioni divergono, ma ciò che è certo è che la guerra informativa cresce parallelamente ai movimenti sul campo, rendendo difficile ogni lettura univoca degli eventi.
Il precedente del 2014 e la lunga ombra del regime-change
Il passato torna a pesare. Il ruolo statunitense nelle proteste di Maidan, la presenza di politici Usa tra i manifestanti, il finanziamento di ONG e media, la telefonata Nuland-Pyatt in cui si discuteva del futuro governo: elementi documentati che Mosca cita da anni come prova dell’ingerenza occidentale. Non serve assumere una posizione per constatare che la narrazione secondo cui Washington sarebbe stata “spettatrice” è insostenibile. Ignorarlo oggi significa non comprendere il contesto che ha portato allo scontro attuale.
Vedere la realtà, non il desiderio
L’Europa preferisce un racconto in cui l’Ucraina resiste eroicamente e la Russia arretra. Ma la guerra non obbedisce alla comunicazione. Obbedisce ai rapporti di forza. E mentre le redazioni si interrogano su quanto debba essere pubblicato o meno, sul campo i russi avanzano e il quadro strategico dell’intero fronte orientale si modifica. Osservare i fatti non significa tifare: significa capire. Ed è ciò che, al di là delle simpatie, dovrebbe fare ogni vero giornalista.