RDC e M23 siglano l'Accordo quadro di Doha: un passo importante per chiudere i combattimenti nell'est del Congo e favorire la pace
L'accordo tra le parti mira a garantire stabilità regionale, mentre una tragedia in una miniera congolese riaccende il drammatico tema dell'estrazione mineraria
Il 15 novembre, a Doha, la capitale del Qatar, il Governo della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e la coalizione ribelle AFC-M23 hanno siglato l'"Accordo Quadro di Doha", alla presenza di rappresentanti degli Stati Uniti e dell'Unione Africana. Il Ruanda ha lodato il Qatar per il suo ruolo costante di mediatore. L'accordo mira a porre fine ad anni di conflitto nell'Est del Congo e prevede otto protocolli di attuazione. Tra questi, il monitoraggio del cessate il fuoco e lo scambio di prigionieri sono già stati formalizzati, mentre gli altri saranno definiti nelle prossime settimane. Il documento sancisce il ritorno dell'autorità statale congolese su tutto il territorio e prevede misure di reintegrazione istituzionale per i gruppi armati. È stato istituito un comitato indipendente incaricato di monitorare l'implementazione dell'accordo e di elaborare raccomandazioni su eventuali risarcimenti, a sostegno del percorso verso la riconciliazione nazionale, rispettando la Costituzione del Qatar. L'intesa arriva dopo mesi di negoziati mediati, a partire dalla congiunta Dichiarazione di Principi del 19 luglio e da un "cessate il fuoco" formale del 14 ottobre. È a Doha che sono stati tracciati questi passi chiave verso l'avvio di un percorso di pace nella regione.
Un'accordo che deve tradursi in prassi concreta. All'inizio del 2025, l'M23 ha intensificato le sue operazioni nell'Est della RDC, cingendo d'assedio Goma e Bukavu, città che erano controllate dal Governo e dall'ONU. Queste zone sono ricche di minerali. A fine gennaio, il Global Iniziative against Transnational Organized Crime segnalava che l'M23 prese il controllo di siti come Bunagana e Rubaya, dove ci sono attività minerarie. Il Ruanda nega di appoggiare l'M23 e giustifica le sue truppe nell'Est della RDC come una forma di difesa da gruppi armati come le Forze Democratiche per la Liberazione de Ruanda (FDLR). Il Primo ministro congolese Judith Tuluka ha dichiarato che circa 7000 persone sono morte dall'inizio dell'offensiva dell'M23. Un rapporto dell'ONU, inoltre, segnalava 100000 sfollati. Le perdite di territorio hanno indotto il governo di Kinshasa a rivolgersi agli USA. Il 27 giugno, a Washington, i ministri degli Esteri di Ruanda e Congo hanno firmato un accordo di pace per porre fine alla guerriglia che stava mietendo vittime. Trump si intestò il risultato, affermando che gli Stati Uniti «otterranno molti diritti minerari dal Congo».
A poche ore dalla firma dell'intesa di Doha, una tragedia ha colpito il sud-est del Paese. Nella provincia di Lualaba, la miniera di rame e cobalto di Kawama è stata teatro di un funesto crollo di un ponte. Il bilancio delle vittime non è del tutto certo, ma tra 30 e 70 sono i morti e decine i dispersi. L'incidente è avvenuto dopo che i minatori erano entrati, nonostante il sito fosse chiuso per un rischio di frane. Secondo un rapporto del SAEMAPE (Servizio di Supporto e Guida per l'estrazione Artigianale e piccola Scala del Congo) i soldati presenti hanno sparato colpi d'arma da fuoco, provocando il panico: i lavoratori si sono precipitati verso il ponte, che è crollato causando la tragedia. L'attuazione degli impegni congolesi volti a regolamentare il settore minerario - separando l'attività artigianale da quella industriale, eliminando il lavoro minorile e rendendo più sicure le miniere - è incompleta. Molte aree restano pericolose e prive di controlli adeguati. La formalizzazione promessa non ha raggiunto tutte le comunità di minatori. Il cobalto è al centro di tensioni geopolitiche ed economiche. Nel Kivu e in altre zone dell'Est Congo, gruppi armati come l'M23 e le FDLR lottano per il controllo di vie di accesso e punti di raccolta ed esportazione di coltan, stagno, tungsteno, oro, rame e cobalto.
Secondo il Cobalt Institute, nel 2024 la produzione mondiale di cobalto ha superato le 254000 tonnellate, di cui la RDC ne ha estratte il 76%. Il numero di minatori artigianali di cobalto nel Paese è stimato tra 150000 e 200000, ma considerando le famiglie a loro carico, le persone dipendenti da questa attività di sussistenza sono tra 750000 e 1 milione. Gran parte del minerale estratto viene venduto a intermediari e raffinato principalmente in Cina, il principale centro mondiale per la lavorazione di cobalto e litio, dove si prevede che Pechino manterrà oltre il 60% della raffinazione fino al 2035. La rilevanza strategica del cobalto congolese ha radici storiche profonde. Durante la Guerra fredda, gli Stati Uniti e la CIA temevano che l'Unione Sovietica potesse accedere alle ricchezze minerarie del Congo. Un timore che si intrecciava con eventi storici drammatici come la secessione del Katanga - l'11 luglio 1960 -, il colpo di Stato del 14 settembre 1960 e l'assassinio di Patrice Lumumba. L'ex Primo ministro della RDC morì il 17 gennaio 1961, nella stessa cintura mineraria dove si è consumata la recente tragedia.
Di Roberto Valtolina