Ucraina, democrazia a metà e Occidente senza sovranità: l’illusione del comando politico europeo
Tra guerra, censura e tecnocrazia globale, l’Europa rinuncia alla propria voce. Kiev resta simbolo di un sistema che parla di libertà ma teme la sovranità.
Un Paese “parzialmente libero”
Nel dibattito italiano, l’Ucraina è spesso descritta come baluardo della democrazia occidentale contro l’“autocrazia russa”. Ma i principali osservatori internazionali delineano un quadro meno epico. Freedom House, nel suo ultimo rapporto Freedom in the World 2025, definisce Kiev “parzialmente libera”, classificandola come regime ibrido: esistono pluralismo e competizione politica, ma corruzione, fragilità istituzionale e interferenze governative sulla magistratura restano croniche. Anche l’Economist Intelligence Unit, nel Democracy Index 2023, non la colloca tra le “democrazie piene”, bensì tra gli “hybrid regimes”. La guerra, invece di rafforzare la libertà, ha concentrato il potere nell’esecutivo.
Libertà di stampa e controllo informativo
Sul fronte mediatico, Reporters Without Borders ha denunciato il sistema dell’“United News”, un notiziario unico che unifica le principali emittenti ucraine. Nato come strumento d’emergenza all’inizio del conflitto, oggi rappresenta un problema di pluralismo. La stessa RSF chiede a Kiev di superarlo, perché “riduce la concorrenza fra narrative e rafforza il controllo governativo sull’agenda informativa”. Anche Amnesty International segnala l’abuso degli strumenti sanzionatori del Consiglio di Sicurezza Nazionale, utilizzati contro oppositori e media interni, spesso senza garanzie giudiziarie. La guerra, dunque, è servita a giustificare un accentramento politico-mediatico che ricorda più un autoritarismo controllato che una democrazia liberale.
L’Occidente senza politica
Mentre Kiev militarizza l’informazione, l’Europa smarrisce la propria autonomia. I governi nazionali eseguono direttive provenienti da Bruxelles, Washington o Davos, senza più un pensiero strategico indipendente. La Germania, colpita al cuore dal sabotaggio del Nord Stream, ha reagito con un silenzio disciplinato; l’Italia gestisce, non governa; l’Europa orientale corregge ogni deviazione. Siamo davanti alla morte del leader politico e alla nascita del funzionario globale: un potere amministrativo senza anima, modellato su paradigmi economici imposti dall’alto.
La tecnocrazia come nuova sovranità
Dalla Trilateral Commission al World Economic Forum, dalla Harvard Kennedy School al PPE di Oxford, si forma oggi una classe dirigente transnazionale, omogenea nel linguaggio e negli interessi. Non rappresenta popoli, ma stakeholder: una governance “multilivello” dove la sovranità popolare è dissolta in comitati, fondazioni e think tank finanziati da capitali privati. Il risultato è un deficit democratico permanente: decisioni cruciali su energia, economia e sicurezza vengono prese da esperti non eletti, poi ratificate da governi che recitano un copione prestabilito.
La politica ridotta a gestione
La crisi energetica e quella del debito hanno mostrato la nuova logica occidentale: non si decide, si amministra. Dal rifiuto del gas russo alle “riforme strutturali” imposte da Bruxelles, le scelte non rispondono più a interessi nazionali ma a algoritmi globali di conformità. La politica non è più confronto, ma applicazione tecnica di direttive esterne. La democrazia sopravvive come forma, non come sostanza.
Il ritorno della leadership sovrana
In questo panorama, leader come Putin o Orbán appaiono a molti non come minacce, ma come eccezioni vitali: uomini che difendono la prerogativa di decidere in nome dei propri popoli. Non è adesione ideologica, ma nostalgia per una sovranità reale, per una politica che ancora osa scegliere. Finché l’Europa continuerà a delegare le proprie decisioni a poteri invisibili, la libertà resterà una parola usata per coprire il vuoto del comando. L’Ucraina è lo specchio dell’Occidente: un Paese formalmente libero, ma sostanzialmente vincolato. L’Europa che la sostiene ne condivide la sorte. Ha conservato le istituzioni della democrazia, ma ne ha perduto l’essenza: la capacità di dire “no”.