Gaza, Usa costruiranno "comunità alternative sicure" in parte israeliana Striscia, Ong: "Campi di concentramento, militarizzazione palese"
Piano Usa-Israele per “comunità sicure” a Gaza divide la Striscia e rischia di creare zone di internamento permanenti, tra allarmi internazionali e assenza di consenso palestinese, come anticipato da Il Giornale d'Italia
Gli Stati Uniti hanno presentato una proposta congiunta insieme a Israele per costruire delle "comunità alternative sicure" all'interno della parte controllata da Tel Aviv della Striscia di Gaza. Diverse Ong hanno però denunciato come questi insediamenti non siano altro che moderni "campi di concentramento", che andranno a rinforzare la già presente militarizzazione della regione, come anticipato da Il Giornale d'Italia.
Gaza, Usa costruiranno "comunità alternative sicure" in parte israeliana Striscia, Ong: "Campi di concentramento, militarizzazione palese"
La proposta di costruire le cosiddette “Comunità alternative sicure” a Gaza, emersa da documenti interni citati da The Atlantic, sta suscitando una crescente ondata di critiche e allarme internazionale. Il piano, promosso dall’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump in coordinamento con funzionari israeliani, prevede la creazione di insediamenti controllati nell’area orientale della Striscia, oggi sotto occupazione israeliana, destinati ai palestinesi che superano gli screening di sicurezza condotti dallo Shin Bet. Chiunque sia collegato direttamente o indirettamente a Hamas verrebbe escluso, istituzionalizzando una divisione tra una popolazione “approvata” e quella rimasta nella Gaza occidentale.
Secondo quanto riportato, le nuove comunità dovrebbero sorgere dietro una “linea gialla” che divide Gaza in due aree funzionalmente separate. L’accesso attraverso questa barriera è già oggi rigidamente limitato e segnalato da episodi ripetuti di fuoco israeliano contro chi tenta di oltrepassarla senza permesso. Una prima e-mail interna del generale statunitense Patrick Frank, responsabile del centro civile-militare che supervisiona il cessate il fuoco, descriveva comunità da 25 mila residenti, con scuole, cliniche e alloggi temporanei. Il numero è stato successivamente ridotto a circa 6 mila persone per sito.
Il primo progetto pilota dovrebbe sorgere vicino a Rafah, in una zona di proprietà palestinese. A occuparsi della bonifica iniziale del terreno è stata incaricata la società statunitense Tetra Tech. Il piano si inserisce nell’ambito di un più ampio progetto di ricostruzione sostenuto da Jared Kushner e dall’inviato per l’Asia occidentale Steve Witkoff, che prevede ingenti investimenti da parte di Paesi arabi — investimenti che, finora, nessuno ha accettato di fornire.
Secondo critici e diversi governi europei e arabi, la proposta rischia di consolidare una frammentazione permanente della Striscia e di trasformare le comunità in aree di internamento di fatto, senza un percorso chiaro verso la sovranità palestinese o il ritiro israeliano. Il Financial Times riferisce inoltre che il progetto potrebbe preludere a un’occupazione israeliana a lungo termine. Intanto, stime Onu valutano in 70 miliardi di dollari il costo della ricostruzione complessiva, mentre Washington non prevede fondi propri ma solo contributi esterni.
A complicare ulteriormente il quadro, emergono piani per una grande base militare statunitense ai confini di Gaza, destinata a ospitare una forza multinazionale che ancora non trova consenso né a Gerusalemme né a Gaza. La “linea gialla”, nata come misura temporanea, sembra così sempre più vicina a diventare una divisione strutturale.