Dalla Siria a Cipro: la trappola della sovraestensione turca e la nuova partita del Mediterraneo
L’ambizione neo-ottomana di Ankara rischia di trasformarsi in un boomerang strategico: Siria, Gaza e Cipro diventano le nuove frontiere di una guerra invisibile con Israele e gli Stati Uniti.
L’impero che si logora da solo
La sovraestensione imperiale è il nemico silenzioso di ogni potenza. Espandersi oltre misura, disperdendo energie e risorse, significa indebolire le proprie funzioni vitali. La storia offre esempi eloquenti: il Vietnam per gli Stati Uniti, l’Afghanistan per l’URSS e poi, ancora, per gli americani stessi. Oggi un simile destino sembra incombere su Mosca in Ucraina, dove la guerra di logoramento ha confinato la Russia in un orizzonte sempre più regionale. Ora tocca alla Turchia di Recep Tayyip Erdoğan misurarsi con il rischio della sovraestensione. L’ambizione di Ankara di tornare al rango di potenza guida del mondo musulmano, dalla Siria al Mediterraneo, sta generando un surplus strategico difficile da sostenere.
Damasco e la fine dell’Asse della Resistenza
La caduta del regime siriano di Bashar al-Assad, avvenuta lo scorso dicembre, ha rappresentato un colpo durissimo per l’Asse della Resistenza iraniano, già orfano del generale Qassem Soleimani, il suo architetto più abile. Il vuoto lasciato a Damasco è stato rapidamente riempito da Ahmed al-Shara, uomo vicino ad Ankara e simbolo di una nuova influenza turca in Siria. Ma questa espansione, più che una vittoria, somiglia a una trappola geopolitica: un nuovo pantano, simile a quello afghano, nel quale Ankara rischia di consumare le proprie forze.
Una guerra invisibile tra Ankara e Tel Aviv
Dietro la retorica pubblica di condanna reciproca, Turchia e Israele conducono da anni una guerra sotto traccia. I due Paesi si fronteggiano in Siria, nel Mediterraneo orientale e ora persino in Cipro, in un gioco di equilibrio e rivalità che ricorda la Guerra Fredda regionale. Da una parte, la Turchia – ex impero in cerca di riscatto – vuole riaffermare il proprio ruolo nel mondo arabo. Dall’altra, Israele, spinto da una crisi identitaria e strategica, punta a consolidare la propria proiezione di potenza nel Levante e nel mare. Entrambi condividono alleanze tattiche, ma si osservano con diffidenza crescente, consapevoli che la loro espansione è a somma zero.
Il Mediterraneo come nuova arena
La scoperta di giacimenti di gas offshore nel Mediterraneo orientale ha innescato un gioco di potenze che va ben oltre la corsa all’“oro blu”. Egitto, Grecia, Cipro e Israele hanno formato un blocco di contenimento contro Ankara, percepita come potenza revisionista e potenzialmente egemonica. La Turchia risponde con la dottrina del Mavi Vatan (Patria Blu), che vede nel controllo marittimo la chiave della propria sopravvivenza strategica. Tuttavia, il progressivo riavvicinamento tra Egitto ed Erdogan e la crisi siriana costringono Ankara a disperdere le proprie forze, aprendo nuove vulnerabilità nei suoi mari.
Cipro: la Taiwan turca
Il vero punto critico resta Cipro, definita dai generali di Ankara la “Taiwan della Turchia”. La parte nord, sotto controllo turco-cipriota, costituisce la prima linea difensiva dell’impero anatolico nel Mediterraneo. Ma la crescente presenza israeliana nel sud dell’isola – anche attraverso coperture civili – allarma i servizi segreti turchi del MIT, che vedono nell’isola la piattaforma avanzata di una strategia di accerchiamento. È su quest’isola che si giocherà la prossima grande partita mediterranea: la Patria Blu contro la proiezione israeliana, con l’Europa spettatrice interessata.
La trappola siriana e il piano americano
Secondo diversi analisti, la nuova fase siriana potrebbe essere una trappola orchestrata da Washington e Tel Aviv per costringere Ankara a una sovraestensione imperiale. Infilarsi nel caos siriano significherebbe drenare risorse dal fronte cipriota e indebolire la postura marittima turca. Nel frattempo, l’ex qaedista Al-Jolani torna a dialogare con i russi, segnale di un possibile riposizionamento di Mosca e di una Turchia costretta a ridimensionarsi.
Gaza, Cipro e la nuova architettura regionale
Il piano americano per la ricostruzione di Gaza, presentato da Donald Trump, assegna ad Ankara un ruolo chiave di garanzia: truppe turche nella Striscia per contenere Israele e stabilizzare la regione. Parallelamente, Cipro, sotto la guida del presidente Nikos Christodoulides, propone un piano in sei punti per la ricostruzione di Gaza, sfruttando il corridoio marittimo “Amalthea” e la sua posizione di ponte tra Europa e Medio Oriente. Il risultato è un mosaico fragile, dove ogni equilibrio nasconde una competizione: Turchia contro Israele, Stati Uniti contro Iran, Europa contro irrilevanza.
Il rischio del logoramento
In questo scenario multipolare, la Turchia rischia di cadere nella stessa trappola storica di ogni potenza sovraestesa: combattere troppe guerre, su troppi fronti, contro troppi nemici. La “Patria Blu” di Erdogan rischia di dissolversi tra il pantano siriano, la minaccia cipriota e la competizione israeliana. Come insegnava Paul Kennedy, la forza di un impero non sta nella sua capacità di espandersi, ma nella saggezza con cui sceglie i propri limiti.