Carvajal, l’ex spia di Caracas divenuta arma geopolitica: la confessione che fa comodo a Washington

Tra verità manipolate e interessi militari, il “Pollo” serve agli Usa per legittimare il controllo nei Caraibi e oltre

Dalla cella americana dove attende il suo destino, Hugo “El Pollo” Carvajal, ex capo dell’intelligence militare venezuelana, riscrive la storia recente del continente. Per salvarsi l’anima – o almeno gli anni di galera – ha scelto di parlare. Racconta ciò che gli Stati Uniti vogliono ascoltare: un’alleanza di ombre tra socialismo e cocaina, tra i palazzi di Caracas e le rotte dei narcos nei Caraibi.

Accusato di narcotraffico e “narcoterrorismo”, Carvajal si è dichiarato colpevole, ammettendo di aver “usato la cocaina come arma”. Ma dietro l’abiura c’è la regia di Washington, che trasforma la confessione in narrativa geopolitica. Non bastano più i “go-fast” che solcano il mare, servono anche legami politici: soldi di Miraflores che, a suo dire, avrebbero finanziato Lula, Kirchner, Morales, Petro, e persino Podemos e il Movimento Cinque Stelle. Una lista che suona più come un manifesto ideologico che come una prova giudiziaria.

La giustizia americana gli concede tempo: la sentenza slitta al 2026, in cambio di nuove “rivelazioni”. Nel frattempo, i cieli dei Caraibi si riempiono di droni e pattuglie, e la narrativa di Carvajal diventa pretesto strategico.

Chi lo conosce, come l’avvocato ed ex esule William Jiménez, parla di vendetta personale più che di verità: un uomo bruciato dal potere, che scambia i propri fantasmi per geopolitica. Ma in questa storia, più che un pentito, c’è un prigioniero utile – e un impero che sa ancora riscrivere i copioni del mondo.