Putin non sarà il nuovo Chamberlain: la Russia oggi esige rispetto, l’Occidente corre rischi e l’Europa resta in bilico

Intervista a Gilbert Doctorow: la pace con l’Ucraina è subordinata al riconoscimento della forza russa, la tolleranza occidentale è percepita come debolezza e il futuro dell’Europa è segnato.

La forma: uniforme e apparenza

Negli ultimi mesi il Vladimir Putin è sempre più spesso apparso in mimetica durante esercitazioni o incontri ad alto livello militare. Secondo Doctorow, ciò non rappresenta un’imminente escalation automatica: è piuttosto una scelta di immagine, coerente con il suo ruolo di comandante in capo delle forze armate russe. Non si tratta dunque di un atto improvviso ma di un segnale raffinato, che sottolinea autorità e continuità più che un’imminente svolta strategica radicale. Questa impostazione visiva – che vede anche il ministro della Difesa russo trascurare l’abito civile a favore dell’uniforme – viene letta come parte di una crescente “militarizzazione” simbolica del potere russo, non necessariamente preludio ad azioni immediate. Doctorow ribadisce che trasformazioni e svolte si misurano sui fatti, non solo sugli abiti.

Diplomazia o trincea: la pace sta ancora in piedi?

Doctorow è netto: una pace negoziata con l’Ucraina non è più un’opzione tangibile finché l’Europa non riconoscerà che la Russia possiede non solo mezzi, ma determinazione militare reale. Secondo la sua analisi, la soluzione diplomatica si aprirà solamente dopo che Mosca avrà dimostrato concretamente la volontà di usare la forza per sconfiggere Kiev o per rispondere a eventuali aggressioni europee. In tal senso, l’Occidente – e in particolare gli europei – sono invitati a rivedere la loro postura: non più solo sostegno militare all’Ucraina, ma presa di atto che la Russia pretende di essere trattata come potenza di fatto, e non semplicemente come avversario da contenere. Finché questa inversione non avverrà, il negoziato sarà marginale.

 

Quando l’accordo fallì: Istanbul e la rinuncia

Doctorow ricorda che un’occasione concreta per chiudere il conflitto si è presentata nei mesi immediatamente successivi all’avvio della “Operazione Militare Speciale”. Le delegazioni russe e ucraine, riunite a Istanbul, avviarono una bozza di trattato di pace che però fu abortita: secondo Mosca, dall’intervento dell’allora premier britannico Boris Johnson, che avrebbe convinto Volodymyr Zelensky a rinnegarla in cambio di promesse di armi e sostegno occidentale. Tuttavia Doctorow pone l’attenzione su altri nodi: fin dall’inizio molti in Russia consideravano le condizioni troppo generose verso l’Ucraina; dall’altra parte, Kiev non poteva accettare la rinuncia alla NATO o i limiti alle proprie forze armate. In questo senso, l’intreccio diplomatico era già compromesso, e le ragioni della rottura vanno oltre il solo “sabotaggio” occidentale.

Chamberlain 2.0? Una debolezza percepita

Uno degli aspetti più critici della sua analisi è il parallelismo tra Putin e il primo ministro britannico Neville Chamberlain: il tratto in comune è la scelta di non reagire con forza quando la propria “linea rossa” viene violata. Doctorow afferma che la Russia, con la sua pazienza eccessiva, ha dato l’impressione di essere una tigre di carta: incapace di difendere pienamente i confini del proprio interesse strategico. In tale contesto, l’Occidente interpreta questa tolleranza come debolezza e si sente incoraggiato da provocare, avanzare, testare. Come con Chamberlain e Hitler, le concessioni alimentano il conflitto, e la mancata risposta robusta rischia di aprire la strada a una reazione drastica, incontrollata, che potrebbe travolgere l’intera Europa.

Europa, Russia, Zelensky: uno scenario in movimento

Guardando al futuro, Doctorow appare poco ottimista. Ritiene che finché l’Unione Europea resterà guidata da “signori della guerra” – ossia élite che privilegiano la spesa, l’azione militare, la propaganda – l’Europa sarà incapace di condurre una politica autonoma e pacifica. Il ruolo crescente della NATO al fianco dell’UE, secondo lui, accentuerà questa debolezza. Per Putin la posta è altissima: se deciderà – o sarà costretto – a un’azione drastica contro Kiev o anche contro forze occidentali, l’Europa potrebbe trovarsi paralizzata dal timore. Quanto a Zelensky, Doctorow immagina uno scenario in cui – privo di alternative – preferisca la fuga verso nazioni amiche dove gestire i propri capitali piuttosto che continuare una guerra senza speranza.

L’ultimo cartellino rosso

La chiave dell’articolo di Doctorow è semplice: la Russia non sarà ignorata. Non basta manifestare contro o sanzionare, occorre riconoscere la sua posizione di potenza e trattarla come tale; altrimenti, la situazione può scivolare verso una escalation pericolosa, in cui ciò che viene percepito come debolezza incoraggia provocazione, e ciò che era tollerato diventa ragione di guerra. Per l’Europa oggi non è solo questione di sostegno all’Ucraina, ma di capire se vuole essere attore sovrano o spettatore impaurito. E per la Russia, il bivio è tra un compromesso dignitoso e la dimostrazione che la sua deterrenza non è più solo verbale. Il tempo della pazienza è forse al termine.