24 Ottobre 2025
Gerusalemme, mattina di sabbia e nervi. Netanyahu preme il tasto “pausa” sull’annessione della Cisgiordania, e nella Knesset si sente odore di gomma bruciata. Tutti fingono che sia una mossa strategica, ma in realtà è puro panico geopolitico. Il premier, abituato a surfare sulle onde del caos, stavolta si trova davanti uno tsunami di proporzioni bibliche: un’America che cambia umore come un pendolo impazzito e un’opposizione interna pronta a sbranarlo per un titolo sui giornali.
La legge doveva essere il colpo di teatro, la prova muscolare di un governo che non sa più se è falco o fantasma. Invece è diventata una farsa con finale sospeso. Gideon Sa’ar la liquida come “una mossa politica”, ma in realtà è una bomba a orologeria che nessuno vuole disinnescare davanti alle telecamere. Nel frattempo, dal pulpito dorato della Casa Bianca, Trump — di nuovo presidente, di nuovo istrione — recita la parte del padre severo: “L’annessione non avverrà”. Traduzione: niente soldi, niente carezze, solo gelo.
Israele si ritrova così, ancora una volta, impigliato nella sua stessa rete di ambizioni e paranoie. Ogni decisione diventa una roulette diplomatica, ogni mossa una scommessa sul futuro di un Paese che vive di tensione come di ossigeno. Netanyahu, il grande equilibrista del disastro permanente, rimanda l’esplosione. Ma il ticchettio si sente forte, e non basterà un ordine del giorno per zittirlo.
Di Aldo Luigi Mancusi
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