Oltre la consegna degli ostaggi israeliani da parte di Hamas, in Medio Oriente c'è una partita politica sull'asse Usa vs Cina
Trump vede nella ricostruzione di Gaza il tassello di un mosaico internazionale destinato a spostare il Medio Oriente in un'area geoeconomica americana rivale di Pechino
La partita degli ostaggi e il commovente ricongiungimento con le rispettive famiglie ci consente di cominciare un nuovo ragionamento sulla situazione politica nell’area mediorientale. Non prima però di aver ricordato che se i tempi della liberazione degli stessi si sono dilatati è perché facevano parte della stessa partita, giocata allo stesso modo da Hamas e da Netanyahu i quali hanno usati gli ostaggi ciascuno per i propri calcoli, tant’è che gli unici liberati precedentemente stavano dentro una cornice di accordi. Quelle persone sono state usate sia da Hamas sia da Netanyahu, come dimostrano i fischi al suo indirizzo. Aggiungo che la paura dell’attuale premier di sfilarsi dalle proprie responsabilità rispetto al 7 ottobre chiedendo un condono è la conferma che Bibi sa di avere indirettamente concorso alla stessa.
Detto tutto questo possiamo cercare di mettere a fuoco il ruolo che Trump sta disegnando nell’area mediorientale non si scolla dalla tensione tra Usa e Cina. Il gioco della Casa Bianca è sulla tenuta politica dei paesi del golfo e di chi lì ha interessi geopolitici. In che senso la fine della guerra nella Striscia ha punti di contatto con la sfida dei dazi alla Cina e allo strappo di Trump con Xi?
Per comprenderlo bisogna guardare al tavolo di ricomposizione e al summit in Egitto. E pure ai commenti di chi a quel tavolo non c’era ma pesa ugualmente: Putin, il quale ha appunto plaudito alla fine delle ostilità. Un po’ come dire: ricordatevi che io sono un attore protagonista imprescindibile.
Trump e la sua squadra si sono riposizionati sulla mappa globale lasciando le proprie impronte digitali, dopo il protagonismo del cartello capitanato dalla Cina con Brics plus e Organizzazione di Shangai. Pertanto al di là del premio Nobel a cui si sta dando un peso politico che non ha, gli Stati Uniti hanno deciso di non abdicare dal proprio ruolo. Il tentativo di rilanciare da un parte la ricostruzione di Gaza — attraverso l'uscita di scena dei jihadisti di Hamas — e contestualmente i Patti di Abramo del 2020 coinvolgendo non solo i primi firmatari cioé i Paesi arabi già in pace con Israele — Giordania, Egitto, Marocco, Emirati Arabi Uniti e Bahrein — ma anche di Arabia Saudita, Qatar, Indonesia, Pakistan, oltre alla Turchia di Recep Tayyip Erdogan.
Lo ha scritto bene l’altro giorno Molinari su Repubblica: “Questo significa avvicinare l'obiettivo di un corridoio geoeconomico fra Indonesia, India, Penisola Arabica, Israele, Europa e Nordamerica destinato a diventare il più formidabile avversario della Nuova via della seta di Xi Jinping. Non c'è dubbio che la tregua a Gaza è ancora a rischio — a cominciare dai disaccordi sul disarmo di Hamas e l'uscita dei suoi capi dalla Striscia — ma Trump vede nella ricostruzione il tassello di un mosaico internazionale destinato a spostare il Medio Oriente in un'area geoeconomica americana rivale di Pechino. Non a caso l'unico Paese musulmano che ancora è al fianco di Hamas è l'Iran degli ayatollah, legato a doppio filo a Pechino dall'esportazione di greggio”.
Ultima questione che dovrebbe interessare l’Europa o meglio gli Stati europei che ancora pesano: attenzione al protagonismo sempre più crescente della Turchia, playmaker in campo politico, in campo militare, in campo energetico. Qualcuno sta capendo che dietro tanta intraprendenza c’è un disegno di protagonismo che prima o poi scoppierà?
di Gianluigi Paragone