Greta Thunberg, la Global Sumud Flotilla e il Medio Oriente: come in Israele "spaccano le ossa" dell'attivista
Dalla barchetta umanitaria al crash diplomatico: quando la realtà picchia più duro di un meme di Elon Musk
Attenzione: quello che segue non è un resoconto oggettivo. È una discesa a testa in giù in uno dei viaggi più surreali del nostro tempo, con Greta Thunberg nel ruolo di Cappuccetto Rosso, Israele in quello del Lupo, e la Flottiglia della Global Sumud come una zattera di crociati new age diretti contro l’iceberg della geopolitica reale. Allacciate i giubbotti di salvataggio. Forse servono.
C’era una volta una barchetta carica di buone intenzioni, slogan preconfezionati e idealismo filtrato Instagram. Sopra, la Giovanna d’Arco del cambiamento climatico, ora reincarnata in ambasciatrice galleggiante della pace globale. Greta Thunberg, 22 anni, capelli raccolti e sguardo inceneritore, salpa col vento in poppa e la convinzione di poter aggiustare il Medio Oriente con la stessa arroganza con cui si sgrida l’ONU.
Destinazione: Gaza. Obiettivo: “rompere l’assedio”. Ma spoiler – in Israele non ci sono i banchi dell’ONU, e neanche le standing ovation in slow motion con i violini in sottofondo. Lì c’è la realtà. E la realtà ha mitra, porti militarizzati, e una tolleranza zero per chi arriva giocando a Risiko con la geopolitica.
Il loro arrivo? Un reality distopico in diretta interrotta. Sirene. Motoscafi. Uomini armati. Niente hummus, niente selfie. Solo abbordaggio stile Navy SEAL, versionato kosher. E da lì, il caos: attivisti che gridano al massacro, ai capelli strattonati, ai baci forzati alla bandiera israeliana. Roba che manco nei deliri di TikTok.
Greta, ovviamente, è sparita. Niente video. Nessuna foto. Solo urla e piagnistei degli scudieri della Flottiglia, un misto di ONG, ex-hippie e collezionisti di hashtag.
Ma anche se fosse tutto vero – diamogliela buona – che cosa si aspettavano? Di attraccare a Gaza City come se fossero a Mykonos? Di sbarcare con le magliette “Peace & Love” e trovare Netanyahu che li accoglieva con una ghirlanda di fiori?
La Global Sumud Flotilla – già il nome sembra un marchio di dentifricio vegano – era una trovata di marketing radical chic. Un’operazione ideologica vestita da missione umanitaria, sponsorizzata da quella bolla occidentale che si indigna a comando ma fa silenzio sui tunnel di Hamas o sulle esecuzioni sommarie nel cuore di Gaza.
Greta voleva fare rumore. Israele le ha risposto a colpi di tonfa. Non per sadismo, ma perché nel mondo reale chi provoca si prende la responsabilità di ciò che scatena. Il tempo del “How dare you” è scaduto, baby. E il palcoscenico del jet-set moraleggiante è stato sostituito da una realtà senza regole glamour.
Forse tornerà. Forse racconterà. O forse no, e si ritirerà in qualche chalet svedese a meditare sull’impatto ambientale dei gommoni militari.
In ogni caso, la prossima missione forse è meglio farla via Zoom, col mappamondo alle spalle e nessuna bandiera da baciare. Perché là fuori, lontano dai riflettori e dalle conferenze ONU, la retorica non galleggia. Affonda. Come una barchetta nel mare di chi non ha voglia di giocare.
Nota dell’autore: la realtà, come sempre, è un’acida bestia che non si fa addomesticare con un tweet. Ma hey, almeno abbiamo provato a raccontarla ubriacandoci lungo il tragitto.
Di Aldo Luigi Mancusi