La fregata Alpino lascia la Flotilla a 150 miglia nautiche da Gaza e gli regala un “ciaone”: chi resta in mare cerca lo scontro
Dopo l’ultimo avviso della Marina, la fregata Alpino si ritira: gli attivisti restano in mare puntando al confronto
La Marina italiana ha fatto il suo dovere. La fregata Alpino, schierata a monitorare la controversa missione della Global Sumud Flotilla, ha lanciato l’ultimo avviso intorno alle 3 del mattino: oltre le 150 miglia nautiche da Gaza, l’Italia non può – e non vuole – andare. È stata l’ultima chiamata per chi voleva scendere da questa nave del caos. Nessun obbligo, solo una via d’uscita. Offerta e ignorata.
Ora, chi resta in mare lo fa consapevolmente. E cerca lo scontro. Lo confermano le parole dell’attivista Maso Notarianni dalla barca Karma: “Siamo certi che ci fermeranno”. E lo sperano anche, verrebbe da dire. Perché la missione sembra avere un solo obiettivo: provocare una reazione israeliana per trasformarla in propaganda.
La fregata Alpino ha agito con responsabilità, offrendo protezione e mediazione. Ma oltre quel limite, è tutto un altro gioco. Un gioco pericoloso, con droni che sorvolano la flottiglia, navi che si avvicinano, comunicazioni disturbate – e una narrazione già pronta sui social: “rapimenti”, “manovre aggressive”, “zona ad alto rischio”.
Il problema? In mezzo a tutto questo teatrino resta dimenticato il vero dramma: Gaza ha bisogno di aiuti seri, non di missioni dimostrative che rischiano solo di infiammare ancora di più una situazione esplosiva.
Chi ha scelto di proseguire senza l’Italia ha anche scelto di ignorare il buon senso. Ora sono soli, e le conseguenze sono tutte sulle loro spalle.
Di Aldo Luigi Mancusi