Il "buco nero" del generale Zamir, il vero costo della guerra a Gaza per Israele si misura nel depauperamento del suo capitale umano
In Israele, come forse in nessuna altra democrazia al mondo, i militari e, in particolar modo, gli Alti Ufficiali assolvono da sempre un ruolo molto particolare nella vita del Paese. Sono tecnici, perché guidano le Forze Armate nelle guerre in cui Tel Aviv è spesso coinvolta, ma sono anche protagonisti, sia indiretti che diretti, della vita politica della Nazione
Il Generale Eyal Zamir è l'attuale Capo di Stato Maggiore delle IDF-Israel Defence Forces, dal marzo 2025, in sostituzione del Gen. Herzi Halevi, dimissionario dopo il fallimento del 7 ottobre 2023, allorché circa 1200 persone morirono per l'attacco di Hamas.
Militare formatosi sul campo, pluridecorato e con un buon ascendente sulle truppe, ha impiegato pochi mesi per entrare in rotta di collisione con il suo vertice politico, arrivando ad esprimere, senza remore, il proprio parere di contrarietà all'operazione di occupazione di Gaza, a tutto il Gabinetto di Sicurezza, capitanato dallo stesso Netanyahu. E per rendere bene l'idea del suo pensiero, Zamir è arrivato ad equiparare questa ulteriore fase della campagna di Gaza ad un buco nero, molto pericoloso per Israele. Questo non ha inficiato di certo la lealtà sia del Generale che delle IDF, perché l'operazione è cominciata con a capo, direttamente in prima linea, lo stesso Comandante, segno evidente della sua grande preoccupazione per questa avventura.
I seri dubbi di Zamir derivavano indubbiamente dalla tipologia dell'azione da condurre in Gaza, perchè un conto era colpire obiettivi predeterminati, con interventi mirati, rapidi, ma soprattutto partendo e rientrando in aree sicure, un altro entrare in massa nella Striscia, prenderne il completo controllo e mantenerne l'occupazione. Una missione difficile per il contesto fortemente urbanizzato, per l'elevata densità di civili e per la capacità operativa residua di Hamas, forte ancora delle sue quasi 400 miglia di tunnel, pressoché intatti. Uno scenario già più che sufficiente per preoccupare seriamente qualsiasi Comandante militare, ma un ulteriore e più serio problema tuttora affligge il nr. 1 delle IDF. Infatti, se armamenti e munizioni non sono una vulnerabilità, perché i rifornimenti, soprattutto americani, non hanno avuto pause, il logorio e la stanchezza dei soldati, che sono ormai al terzo anno di combattimenti, costituiscono invece il vero tallone d'Achille con cui fare i conti (e qui nessun alleato può lenire la piaga).
D'altra parte, nella loro storia, breve ma già costellata da molti conflitti, le Forze Armate israeliane non sono mai state ingaggiate per così lungo tempo consecutivamente e, soprattutto, quasi esclusivamente in contesti urbani, che sono gli scenari peggiori per un militare, perchè causano il maggior tasso di stress operativo e le perdite più elevate.
Per ragioni interne di motivazione delle proprie truppe ed esterne di tutela di quell'immagine di invincibilità creatasi nel tempo, tradizionalmente le IDF parlano mal volentieri delle perdite che subiscono, tuttavia, la lente d'ingrandimento internazionale, che continua a focalizzare come mai le operazioni israeliane e un possibile cambio di strategia comunicativa dopo il 7 ottobre 2023 (soldati vittime del terrorismo), hanno indotto Tel Aviv ad ammettere i propri Caduti.
Si è trattato di un'ammissione ufficiale, anche se approssimativa, avvenuta alla fine del 2024, allorché le Israel Defence Forces hanno fornito il dato di 781 soldati deceduti dal 7 ottobre 2023, definendolo “quantomeno minimo”. Se non fosse che si sta parlando di vite perdute, questo approccio lo si potrebbe definire “quanto meno originale”, ma volendo doverosamente fare una valutazione tecnica, si potrebbe plausibilmente presumere che il Comando israeliano sia stato costretto ad esprimersi in tal modo, a causa di un certo numero di militari dispersi, di cui non conosce ufficialmente le sorti.
Si tratta comunque di un numero oggettivamente molto elevato di perdite, soprattutto per gli standard degli Israeliani, normalmente assuefatti a godere dello strapotere operativo delle loro forze, ma che in questi mesi hanno pagato il prezzo di condurre operazioni in contesti difficili e tatticamente organizzati (con tunnel, postazioni in edifici civili e popolazione favorevole).
Tuttavia, questo dato si riferisce al solo 2024, con le IDF impegnate in Libano e nella Striscia ma, come detto, in azioni con minore attrito rispetto a quelle condotte a Gaza a partire dalla scorsa estate, per cui si può supporre che il 2025, di cui non si hanno informazioni, possa aver causato maggiori perdite tra le fila israeliane.
Ma il buco nero a cui si è appellato Zamir per esprimere il suo disaccordo con il livello politico, molto probabilmente non riguarda solo questi aspetti prettamente operativi, ma si riferisce anche a problematiche, di carattere socio-economico, che stanno cominciando ad affliggere anche l'ambito civile israeliano, che garantisce quel vitale bacino di riservisti, a cui le Forze Armate fan ricorso a piene mani. Infatti, in Israele, vige il teorema che il benessere del tessuto sociale é direttamente proporzionale all'efficienza della Difesa.
E in questo momento, non si può certo dire che la situazione interna israeliana sia delle migliori e, per dimostrarlo, basterebbe ricorrere ad un indicatore molto semplice, ma chiaro e significativo quale è l'emigrazione, che nel 2024 ha registrato un record dal 1948, anno della fondazione di Israele, con più di 85.000 Israeliani (su poco meno di 10 milioni di abitanti) che hanno lasciato il Paese (50% in più rispetto al 2023). Tra questi molti di livello culturale e professionale elevato. Per comprendere meglio basti pensare che, nello stesso anno, l'Italia ha registrato 156.000 uscite su una popolazione di 59 milioni. Un problema grande per molti motivi di carattere sociale ed economico, ma anche un serio colpo per il movimento sionista, che trova nell'Aliyah “raduno degli esuli” uno dei suoi principi fondanti.
Ma il buco nero del Generale Zamir potrebbe cominciare ad inghiottire anche l'economia israeliana, che sta subendo gli effetti di una guerra lunga e costosissima. Secondo il Ministero delle Finanze, le spese militari per il conflitto, sino a tutto il 2024, hanno ingoiato quasi 30 miliardi di dollari, ma la previsione per il 2025 è quella di toccare i 40 miliardi, costringendo la Knesset (Parlamento) ad approvare, per il 2025, un aumento del deficit di bilancio all'8.5% del Pil (6,6% nel 2023 e 7,7% nel 2024), una maggiore pressione fiscale e tagli alla spesa sociale.
Va riconosciuto che ci sono settori come l'High tech e similari che tengono bene, probabilmente perchè strettamente connessi con un'economia bellica e perché, per ora, non soffrono per la fuga di cervelli in atto, per cui riescono ancora a mantenere positive le previsioni di crescita. Peraltro, molte altre aree economiche, più tradizionali ma non meno importanti, sono sempre più in sofferenza, perché incompatibili con lo stato di guerra. Il turismo, ad esempio, nel 2024 ha perso entrate pari a più di 5 miliardi di dollari.
In Israele, come forse in nessuna altra democrazia al mondo, i militari e, in particolar modo, gli Alti Ufficiali assolvono da sempre un ruolo molto particolare nella vita del Paese. Sono tecnici, perché guidano le Forze Armate nelle guerre in cui Tel Aviv è spesso coinvolta, ma sono anche protagonisti, sia indiretti che diretti, della vita politica della Nazione. Non sfugge a tale regola il Generale Zamir, il quale con la sua metafora del “buco nero” potrebbe avere intravisto il vero costo di questa guerra, da misurarsi nel progressivo esaurimento delle risorse fondamentali, tra cui la credibilità internazionale, ma soprattutto, nel depauperamento di quel capitale umano che è sempre stato l'autentica ricchezza di Israele. E lui, da buon Comandante di uomini, probabilmente non si è lasciato accecare dai contingenti, ma effimeri guadagni militari e strategici, su cui Netanyahu sta forse compromettendo il futuro della Nazione.
Generale di Corpo d'Armata degli Alpini
Marcello Bellacicco