"Scendo qui, fratelli": il fotoreporter Niccolò Celesti molla la Global Sumud Flotilla prima del naufragio (mentale)
Celesti lascia la flottiglia per Gaza: “Troppo caos, zero strategia. Non sono venuto a farmi ammazzare così”
Era iniziata come una missione umanitaria, è finita come un trip lisergico con la bussola rotta. Niccolò Celesti, fotoreporter fiorentino con lo stomaco di un partigiano e la lucidità di chi ha visto troppo, ha fatto quello che pochi hanno il coraggio di fare: ha detto basta. È sceso dalla barca prima che diventasse una bara.
Lo intercettiamo in un porticciolo dimenticato di Creta, mentre i gabbiani urlano più forte delle coscienze sporche. «Non ero venuto per martirizzarmi senza razionalità», dice. Una frase che in bocca a un altro suonerebbe vigliacca. Invece è lucidissima. Roba da far saltare i nervi a chi pensa che il coraggio sia solo correre incontro al plotone d’esecuzione.
La Flottiglia doveva essere simbolica, un dito medio alla macchina da guerra israeliana. Restare in acque internazionali, alzare bandiere, smuovere le coscienze. Ma il copione è cambiato a metà navigazione. Le “linee rosse” – promesse a terra – si sono dissolte come fumo in cambusa. Nessuno lo ha detto a voce alta, ma il piano B sembrava scritto con il sangue. E a bordo, tra un idealista e l’altro, l’odore della trappola si faceva forte.
Celesti, invece, voleva ancora ragionare. Parlava di trattative, scorte diplomatiche, tracciabilità. Risposte? Nessuna. Solo silenzi e sguardi come fucili carichi. E mentre i vertici italiani lanciavano segnali (“Non possiamo garantirvi la pelle”), sulla Family si giocava a fare Che Guevara con la GoPro accesa.
Non è vigliaccheria, è sopravvivenza lucida. È politica fatta con il diaframma del cervello, non con l’adrenalina tossica. Celesti non abbandona la causa, semplicemente non vuole crepare per una messinscena sbilenca.
E così se n’è andato, lasciandosi alle spalle una nave piena di cuori enormi e teste fumanti. Non ha fatto rumore, solo una stretta di mano e una decisione presa col fegato in fiamme.
Chi resta a bordo, lo faccia con la consapevolezza che il martirio non è strategia. E che morire per Gaza non serve se non sai nemmeno dove stai andando.
Di Aldo Luigi Mancusi