Ucraina, gli errori dell’Europa: come Bruxelles si è condannata all’irrilevanza
Energia, diplomazia, difesa: l’Europa ha sbagliato tutto e oggi guarda alla guerra da bordo campo, pur essendo l’attore più colpito
La guerra in Ucraina continua, ma dell’Europa si sente a malapena l’eco. Dichiarazioni, vertici, visite ufficiali: molta retorica, poca sostanza. Mentre gli Stati Uniti e la Russia ridefiniscono gli equilibri globali, l’Unione Europea osserva da bordo campo. Eppure è l’attore che più avrebbe da perdere, e da guadagnare. Come siamo arrivati a questa irrilevanza? Attraverso una serie di errori strategici che hanno privato l’Ue di ogni credibilità geopolitica.
Primo errore: l’illusione energetica. Dopo l’annessione della Crimea nel 2014, l’Europa avrebbe dovuto comprendere che la dipendenza dal gas russo era un rischio sistemico. Invece ha scelto di rafforzarla. Berlino ha difeso Nord Stream 2 fino all’ultimo, Parigi e Roma hanno firmato nuovi contratti a lungo termine, mentre la Commissione europea limitava ogni iniziativa per diversificare le fonti. Quando Mosca ha invaso l’Ucraina nel febbraio 2022, l’Europa importava ancora il 40% del suo gas dalla Russia: un’arma perfetta che Putin ha usato per destabilizzare l’economia europea. Prezzi dell’energia alle stelle, inflazione a doppia cifra e industria manifatturiera in crisi sono stati il prezzo di quell’illusione.
Secondo errore: nessuna politica estera comune. Dagli anni Novanta, l’Ue ha proclamato l’obiettivo di una politica estera e di sicurezza comune. Ma è rimasto sulla carta. Francia e Germania hanno perseguito il “dialogo strategico” con Mosca, l’Ungheria di Orbán ha siglato accordi bilaterali energetici, i Paesi baltici e la Polonia hanno invocato il contenimento. Risultato: nessuna linea condivisa, solo frammentazione. Così, quando l’Ucraina è stata invasa, Bruxelles non aveva né strumenti né legittimità per parlare a nome di tutti.
Terzo errore: l’assenza dal tavolo negoziale. Durante le prime fasi della guerra, i contatti diplomatici tra Mosca e Kiev sono stati mediati dalla Turchia, da Israele e — informalmente — da Washington. L’Unione Europea, pur essendo l’attore più colpito, non ha proposto alcuna piattaforma autonoma di mediazione. L’Alto Rappresentante Josep Borrell ha moltiplicato le missioni simboliche, ma prive di contenuto negoziale. È stato un segnale devastante: l’Europa ha accettato di ridursi a semplice cornice umanitaria, mentre milioni di rifugiati premevano sui suoi confini e i bilanci del welfare andavano sotto stress.
Quarto errore: l’assenza di una difesa credibile. Già nel 2004, con l’allargamento a Est, era evidente che l’Ue avrebbe dovuto costruire un pilastro di sicurezza proprio. Non l’ha mai fatto. Quando Polonia, Romania e Stati baltici hanno chiesto rinforzi, Bruxelles ha esitato. Solo la NATO, cioè gli Stati Uniti, ha schierato contingenti e sistemi di deterrenza avanzata. Così, nel momento più critico dalla Guerra Fredda, l’Europa ha dovuto ammettere la propria impotenza militare. Non a caso, oggi persino la Germania — storicamente riluttante al riarmo — discute di una “dottrina di difesa nazionale” fuori dal quadro comunitario.
Quinto errore: nessuna strategia di potere. Infine, l’Ue non ha saputo difendere i propri interessi strategici nel confronto tra potenze. Mentre Washington usava il conflitto per rinsaldare la NATO e indebolire Mosca, e mentre la Russia cercava di spaccare l’Occidente per consolidare il suo spazio d’influenza, Bruxelles si è persa tra regole di bilancio e dispute procedurali. Ha rinunciato a concepirsi come attore geopolitico. Nel 2022 la Commissione ha definito l’Europa “una potenza normativa” — ma norme e regolamenti non fermano i carri armati.
Oggi, se la guerra continuerà, i costi economici e sociali ricadranno soprattutto sull’Europa: inflazione strutturale, deindustrializzazione, welfare sotto pressione. Se invece arriverà la pace e l’Ue non sarà al tavolo, saranno altri a ridisegnare il continente. È questo il paradosso: l’Europa è l’attore più esposto, ma anche il più irrilevante.
Lo si è visto plasticamente durante l’ultimo incontro a Washington: i leader europei in passerella accanto a Donald Trump, senza un’agenda comune né la forza per imporla, trattati come comprimari da chi un tempo era alleato e oggi è solo partner a termine. Intanto la fiducia dei cittadini nelle istituzioni Ue è crollata: secondo l’Eurobarometro meno di un europeo su due crede ancora che Bruxelles abbia un ruolo utile.
Persino gli Stati membri stanno tornando a pensare in termini nazionali. Berlino lancia un fondo da 100 miliardi per il riarmo fuori dal perimetro comunitario, Varsavia tratta direttamente con Washington la presenza di truppe statunitensi, e i Paesi candidati dell’Est guardano più alla NATO che all’Unione per la loro sicurezza.
In altre parole, l’Europa non solo ha perso potere, ma ha smesso di essere percepita come un centro di potere. E nella politica internazionale vale una regola semplice: il potere, se non lo eserciti, lo perdi. E se lo perdi, non te lo restituisce nessuno.