Medio Oriente, dal raid Idf a Doha a proposta egiziana di forza araba NATO-style, fino alle controversie su passaporti americani: vietato criticare Israele
Al-Sisi ha rinnovato l'invito al riconoscimento immediato dello Stato palestinese come percorso obbligato verso una soluzione basata su due entità statali, respingendo categoricamente qualsiasi ipotesi di espulsione dei palestinesi dalla loro terra e ha rilanciato una proposta innovativa e ambiziosa: la creazione di una forza militare araba modellata sulla NATO, capace di proteggere qualsiasi stato arabo sotto attacco
Il 9 settembre 2025 segnerà probabilmente una data spartiacque nella storia delle relazioni mediorientali. Per la prima volta dalla sua fondazione, Israele ha condotto un attacco aereo contro il Qatar, colpendo un complesso residenziale nella capitale Doha dove si trovavano i leader politici di Hamas.
L'attacco che ha cambiato tutto: Israele colpisce Doha
L'operazione, denominata dall'IDF come "completamente indipendente", ha preso di mira un incontro cruciale: i dirigenti di Hamas si erano riuniti proprio per discutere la nuova proposta di cessate il fuoco presentata dall'amministrazione Trump. Il paradosso è stridente: mentre si negoziava la pace, i missili israeliani volavano verso i negoziatori.
Escalation mediorientale: il raid israeliano in Qatar scatena una crisi diplomatica senza precedenti
Il fallimento operativo ha reso ancora più grave il danno diplomatico, trasformando quella che doveva essere una "decapitazione" strategica in un incidente diplomatico dalle conseguenze incalcolabili. Le ripercussioni sull'alleanza più importante di Israele sono state immediate e drammatiche. Il Presidente Donald Trump, che aveva appena visitato il Golfo raccogliendo promesse di investimenti per trilioni di dollari, si è trovato di fronte a un alleato che aveva agito completamente fuori dalle sue direttive. Secondo fonti dell'amministrazione americana citate da Axios e CNN, Trump sarebbe stato informato dell'attacco solo quando i missili erano già in volo, non da Israele, ma dal generale Dan Caine, Presidente del Joint Chiefs of Staff (l'organo consultivo più alto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti). La conversazione telefonica successiva con Netanyahu è descritta come "accesa", con Trump che avrebbe dichiarato: "È inaccettabile. Pretendo che non lo ripetiate".
Ma Netanyahu, lungi dal mostrarsi pentito, ha raddoppiato. In un video diffuso mercoledì 11 settembre, il premier israeliano ha dichiarato: "Dico al Qatar e a tutte le nazioni che ospitano terroristi: o li espellete o li portate davanti alla giustizia. Perché se non lo fate, lo faremo noi". Trump ha dovuto pubblicamente prendere le distanze, scrivendo su Truth Social: "Questa è stata una decisione presa dal Primo Ministro Netanyahu, non è stata una decisione presa da me". Tuttavia, nonostante la promessa ai qatarioti che "un simile attacco non si ripeterà mai più", il Presidente americano non ha annunciato misure punitive contro Israele.
La risposta araba: summit d'emergenza e progetto di forza simil-NATO
La reazione del mondo arabo è stata rapida e coordinata. Il 15 settembre si è tenuto a Doha un summit arabo-islamico d'emergenza per discutere una risposta collettiva all'attacco israeliano. Leader di tutto il mondo musulmano, dal Presidente iraniano Masoud Pezeshkian al Primo Ministro iracheno Mohammed Shia al-Sudani, si sono riuniti nella capitale qatariota. Il summit ha visto la partecipazione di rappresentanti di 57 paesi dell'Organizzazione per la Cooperazione Islamica; la presenza di osservatori militari di Turchia e Cina al summit ha segnalato un interesse crescente per partnership di sicurezza alternative agli Stati Uniti.
Come ha sottolineato Andreas Krieg del King's College London, l'attacco è stato "visto in tutto il Golfo come una violazione senza precedenti della sovranità e un attacco alla diplomazia stessa".
Durante il summit straordinario arabo-islamico, il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha assunto una posizione di particolare fermezza. Nel suo intervento, ha lanciato un monito inequivocabile: "Il nostro orientamento attuale è inequivocabile: respingeremo qualsiasi violazione della sovranità territoriale dei nostri Stati". Questa dichiarazione rappresenta un segnale di allerta che trascende la mera solidarietà verso il Qatar, estendendosi a questioni di sicurezza continentale più ampie.
Il leader egiziano ha inoltre ribadito la necessità di un cambio di paradigma: "È giunto il momento di confrontarsi in modo risoluto e determinato con la questione palestinese. Approcci bellici e strategie volte a imporre realtà attraverso la coercizione non garantiranno stabilità ad alcuna delle parti coinvolte", criticando apertamente la strategia israeliana basata sulla supremazia militare. Al-Sisi ha poi rinnovato l'invito al riconoscimento immediato dello Stato palestinese come percorso obbligato verso una soluzione basata su due entità statali, respingendo categoricamente qualsiasi ipotesi di espulsione dei palestinesi dalla loro terra e ha rilanciato una proposta innovativa e ambiziosa: la creazione di una forza militare araba modellata sulla NATO, capace di proteggere qualsiasi stato arabo sotto attacco. Secondo fonti del governo egiziano citate dal quotidiano libanese Al-Akhbar e confermati da media israeliani infatti, il Presidente Abdel Fattah al-Sisi starebbe cercando supporto per quella che sarebbe una forza di reazione rapida da 20.000 soldati. La forza coinvolgerebbeEgitto, Marocco, Algeria, Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti e Qatar, con l'Egitto nel ruolo di comando principale e l'Arabia Saudita come secondo contributore centrale.
I contenuti del documento conclusivo del summit di Doha
La dichiarazione finale dell'importante summit punta a "consolidare la coesione arabo-islamica all'interno delle istituzioni internazionali". Il testo denuncia come "la continuazione delle azioni aggressive israeliane, inclusi atti genocidari, operazioni di pulizia etnica, blocchi che generano carestie, insieme alle attività coloniali ed espansionistiche, compromettano ogni prospettiva di stabilità e convivenza nella regione".
L'emiro qatariota parlando dell'attacco aereo israeliano su Doha lo ha descritto come un atto "audace, sleale e vile", esortando la comunità mondiale ad "abbandonare l'applicazione di standard differenziati e a perseguire Israele per l'insieme delle violazioni perpetrate", insistendo sulla necessità di una risposta "risoluta e inflessibile".
La reazione dell'opposizione israeliana
L'opposizione israeliana, attraverso il leader Yair Lapid, ha espresso allarme per questi sviluppi. Lapid ha definito la proposta egiziana "un grave colpo agli accordi di pace" e ha criticato duramente il governo Netanyahu per aver "distrutto la nostra posizione internazionale" attraverso "una miscela pericolosa di irresponsabilità, incompetenza e arroganza".
Tutto questo mentre "tutti i sondaggi indicano che la maggioranza del pubblico israeliano vuole la fine della guerra, le elezioni e una commissione d'inchiesta. Eppure Netanyahu sta temporeggiando e facendo esattamente il contrario", afferma Amos Harel alla Conferenza diHaaretz tenutasi a Toronto, giornalista e esperto riconosciuto nel campo della sicurezza e delle questioni militari israeliane.
Il fronte interno agli Stati Uniti: la controversa e inquietante proposta di legge sui passaporti
Parallelamente alla crisi mediorientale, negli Stati Uniti si sviluppa una controversia domestica che riflette le tensioni più ampie sulla politica pro-israeliana di Washington. Il deputato repubblicano Brian Mast, Presidente della Commissione Affari Esteri della Camera e veterano delle forze di difesa israeliane, ha presentato il "Department of State Policy Provisions Act" (H.R. 5300); la legge (fortunatamente al momento non ancora in vigore, essendo una proposta legislativa che necessariamente dovrà attraversare l'iter parlamentare consueto per divenire effettiva) concederebbe al Segretario di Stato Marco Rubio il potere di revocare o negare passaporti americani a cittadini accusati di criticare lo Stato di Israele. Organizzazioni per i diritti civili come l'ACLU hanno denunciato il disegno di legge come un tentativo di "pensiero-polizia", notando che Rubio ha già revocato visti basandosi su articoli di opinione critici verso Israele. Il caso più emblematico è quello della studentessa turca Rümeysa Öztürk, il cui visto (in base a poteri discrezionali già esistenti per i visti) è stato annullato dopo aver scritto un editoriale universitario che invocava il disinvestimento da Israele. Seth Stern della Freedom of the Press Foundation ha dichiarato: "Marco Rubio ha rivendicato il potere di designare persone come sostenitori del terrorismo basandosi esclusivamente su quello che pensano e dicono, anche se quello che dicono non include una parola su un'organizzazione terroristica o sul terrorismo". Personalmente credo e spero che tale abominio anticostituzionale non riuscirà mai a vedere la luce, dato che sarebbe un pericolosissimo precedente contro la libertà di pensiero e di critica, aspetti fondamentali della vita di comunità civile che da sempre, teoricamente, sono i cardini della società americana.
Implicazioni strategiche e future
Ad ogni modo, gli Stati Uniti si trovano in una posizione sempre più precaria. Da un lato, l'alleanza con Israele rimane "ferrea" nelle parole di Trump. Dall'altro, i partner del Golfo - fonte di trilioni in investimenti e che ospitano la più grande base militare americana nella regione, ovvero la base aerea di Al Udeid in Qatar - stanno mettendo in discussione l'affidabilità di Washington come garante della sicurezza.
L'analisi di esperti come Kristian Coates Ulrichsen del Baker Institute(centro di ricerca politica non-profit e apolitico della Rice University di Houston) suggerisce che l'attacco in Qatar potrebbe rappresentare un punto di svolta: "Dietro le quinte, le conversazioni odierne tra i leader del Golfo e le controparti americane si concentreranno davvero su chi sapeva cosa e quando, e qual è stata precisamente la catena degli eventi".
La nuova architettura regionale dei Paesi del Golfo
Con la Cina che ha mediato il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran nel 2023, e ora osservatori cinesi e turchi presenti al summit di Doha, l'equilibrio regionale sta chiaramente cambiando. La proposta egiziana di una forza araba NATO-style potrebbe rappresentare il primo passo verso un'architettura di sicurezza regionale che non dipenda esclusivamente dagli Stati Uniti.
In conclusione, l'attacco israeliano del 9 settembre 2025 in Qatar ha innescato una crisi dalle dimensioni multiple che va ben oltre una semplice operazione militare fallita. Ha messo a rischio i negoziati per il cessate il fuoco a Gaza, ha teso le relazioni con l'alleato americano, ha accelerato la ricerca araba di alternative di sicurezza e ha esposto le profonde fratture interne della politica americana verso il Medio Oriente. Il summit arabo-islamico del 14-15 settembre ha dimostrato una solidarietà regionale senza precedenti, mentre la posizione controversa ed estremamente pericolosa per l'ordine mondiale di Rubio – il quale ha sostanzialmente legittimato il principio secondo cui Israele può colpire i suoi "nemici" ovunque nel mondo - ha sollevato gravi questioni sul rispetto del diritto internazionale e della sovranità statale.
Ma forse l'aspetto ancor più inquietante emerso da questa crisi è la rivelazione dell'estensione del controllo della lobby israeliana sulla politica americana. Con soli 10 membri del Congresso su 535 che rifiutano per le loro campagne elettorali parte degli stratosferici finanziamenti dell'AIPAC (American Israel Public Affairs Committee, potentissima lobby statunitense ben nota per il forte sostegno allo Stato di Israele), gli Stati Uniti appaiono sempre più come uno Stato in cui la politica estera mediorientale è determinata non dalla volontà democratica del popolo americano, ma dagli interessi di una potenza straniera e dei suoi sostenitori domestici, ovvero dallo Stato occupante di Israele. Secondo The Intercept (testata giornalistica investigativa fondata nel 2014 da Glenn Greenwald, Laura Poitras eJeremy Scahill), AIPAC ha investito complessivamente 100 milioni di dollari nelle sole primarie delle elezioni presidenziali 2024. È davvero uno scenario terribilmente scandaloso e preoccupante che solleva questioni fondamentali sulla natura stessa della democrazia americana. Quando analizziamo i numeri - meno di 10 parlamentari su 535 che osano rifiutare i finanziamenti pro-elezioni di un gruppo di interesse straniero - stiamo parlando di un livello di controllo che va ben oltre il normale lobbying. È una forma di cattura sistemica delle istituzioni democratiche.
E di conseguenza il paradosso democratico è stridente: mentre la maggioranza degli americani, inclusi i democratici, si oppone agli aiuti incondizionati a Israele, il Congresso USA vota quasi unanimemente per sostenerli. Questo significa che la volontà popolare è completamente disconnessa dalle decisioni politiche su uno dei temi più critici della politica estera americana. La cosa più preoccupante è che questo sistema si sta ora espandendo verso forme più esplicite di repressione, come il disegno di legge per revocare i passaporti. Il futuro dell'intero Pianeta appare sempre più incerto e carico di sfide infide, complesse e interconnesse.
Di Eugenio Cardi