Commissione Ue, con la Maxi multa da quasi 3mld di € a Google l’Europa scopre la sua dipendenza tecnologica dalle Big Tech Usa

La Commissione accusa il colosso dell’advertising di distorcere la concorrenza. Ma il vero nodo riguarda l’autonomia digitale europea, ancora troppo legata a infrastrutture digitali americane

Il 5 settembre 2025 la Commissione Europea ha inflitto a Google una multa da 2,95 miliardi di euro, accusandola di abuso di posizione dominante nel mercato della pubblicità digitale. La sanzione, tra le più alte mai comminate a un colosso tecnologico, rappresenta molto più di una semplice decisione antitrust.

È un segnale politico ed economico che apre una riflessione più ampia: quanto l’Europa è davvero autonoma nel definire le proprie regole e il proprio futuro digitale? E fino a che punto può permettersi di sfidare le Big Tech statunitensi, quando gran parte delle sue infrastrutture informatiche dipendono proprio da loro?

La risposta del presidente USA Donald Trump è stata immediata: ha parlato di discriminazione contro le aziende americane, minacciando ritorsioni commerciali che vanno oltre la leva dei dazi. In filigrana, resta il nodo della sovranità tecnologica: la capacità dell’Unione Europea di decidere senza che qualcun altro tenga in mano l’interruttore dei propri sistemi digitali.

La multa a Google: numeri e accuse

Secondo la Commissione, Google avrebbe abusato della sua posizione dominante nell’adtech, il settore della pubblicità programmatica, favorendo il proprio ad exchange (AdX) attraverso l’uso privilegiato del suo ad server e dei suoi strumenti di acquisto pubblicitario.

In pratica, editori e inserzionisti si sono trovati a competere in un mercato dove Google non era solo arbitro, ma anche giocatore con regole a proprio vantaggio. Il risultato? Prezzi meno trasparenti, concorrenza distorta, meno opportunità per operatori alternativi.

L’inchiesta era stata aperta nel 2021, formalizzata con accuse nel 2023, e si è conclusa ora con la maxi sanzione. Per Bruxelles, non si tratta soltanto di punire il passato, ma di obbligare Google a proporre rimedi concreti entro 60 giorni. In mancanza, la Commissione potrebbe arrivare a imporre misure strutturali, fino all’ipotesi estrema di una separazione di asset.

Google, prevedibilmente, ha annunciato ricorso, definendo le accuse “ingiustificate” e sostenendo che il mercato pubblicitario digitale resta altamente competitivo.

Le reazioni politiche: il fronte transatlantico

La decisione europea non è rimasta confinata al piano regolatorio. La Casa Bianca è intervenuta con toni duri: Trump ha definito la multa un atto di ostilità verso le imprese americane, evocando la possibilità di misure ritorsive.

In un contesto in cui USA ed Europa discutono anche di dazi, sicurezza dei dati e gestione delle piattaforme, l’antitrust si trasforma in un terreno di scontro geopolitico.

L’episodio dimostra che la concorrenza digitale non è mai soltanto un affare tecnico: è una partita di influenza globale, in cui regole, mercati e infrastrutture si intrecciano.

Il nodo della sovranità tecnologica

Qui emerge il punto più delicato. Mentre l’UE colpisce Google sul piano della concorrenza, resta forte la dipendenza dalle infrastrutture tecnologiche statunitensi.

Oggi la quasi totalità dei dati e delle attività quotidiane delle istituzioni europee gira su server e sistemi basati su tecnologie USA: cloud, sistemi operativi, database, hardware di rete. La quota di provider pienamente europei è residuale.

Ciò significa che, se anche Bruxelles si mostra aggressiva sul fronte regolatorio, resta strutturalmente esposta a decisioni prese oltreoceano. In altre parole: può l’Europa essere davvero indipendente, se le chiavi della sua infrastruttura digitale non sono nelle sue mani?

Il “Brussels Effect” e i suoi limiti

Da un lato, l’UE ha dimostrato di poter esercitare un’enorme influenza globale con le sue normative: dal GDPR al Digital Markets Act, fino al Digital Services Act. È il cosiddetto “Brussels Effect”, la capacità di imporre standard internazionali semplicemente attraverso la regolamentazione del proprio mercato interno.

Molte aziende globali, per poter operare in Europa, finiscono infatti per adottare regole UE anche altrove. Questo rafforza l’immagine di Bruxelles come legislatore globale.

Dall’altro lato, però, resta il paradosso: l’UE riesce a imporre standard, ma non a sviluppare alternative tecnologiche di scala. Regola le piattaforme americane, ma ne utilizza ancora i server. È come scrivere il codice della strada senza avere costruttori d’auto in grado di competere.

Impatti per imprese e cittadini

La multa a Google e la pressione regolatoria di Bruxelles non sono soltanto un tema da addetti ai lavori. Hanno conseguenze concrete per l’intero ecosistema digitale europeo. Per gli editori, l’apertura di spazi meno condizionati dal monopolio della Big Tech può tradursi in una maggiore capacità di monetizzare i contenuti e scegliere strumenti alternativi. Per gli inserzionisti, significa invece trasparenza nei prezzi e più concorrenza tra piattaforme, con la possibilità di ottimizzare i budget pubblicitari.

Anche le start-up e i fornitori di servizi digitali possono beneficiare di un contesto meno soffocato da logiche di autopreferenza: un mercato più aperto stimola l’innovazione e offre a nuovi attori la possibilità di affermarsi. Tuttavia, senza una solida base infrastrutturale autonoma, il rischio è che questi benefici restino limitati, destinati a esaurirsi non appena le grandi piattaforme troveranno nuovi margini di vantaggio competitivo.

Quale strada per l’Europa?

Il nodo della sovranità tecnologica riporta la discussione su un piano più strategico. Non si tratta soltanto di applicare sanzioni o introdurre regolamenti, ma di costruire una vera capacità industriale europea nel digitale. Ciò significa investire in data center e infrastrutture cloud che rispondano a criteri di sicurezza e autonomia, sviluppare competenze sui semiconduttori e sull’intelligenza artificiale, sostenere un tessuto di imprese in grado di offrire alternative concrete ai giganti d’oltreoceano.

In assenza di questa visione, l’Unione rischia di rimanere un legislatore globale capace di imporre regole, ma privo della forza industriale necessaria per sostenerle. La partita, insomma, non è solo giuridica ma profondamente politica: riguarda la capacità dell’Europa di non restare un “regolatore dipendente”, costretta a imporre standard che altri implementano con le loro tecnologie.

Conclusione

La sanzione da 2,95 miliardi di euro a Google segna un passo storico nella battaglia europea contro gli abusi delle Big Tech, ma mette in luce anche un punto debole: senza un’infrastruttura digitale sovrana, l’Europa rischia di rimanere regolatore senza potere industriale.

La vera partita, quindi, non si gioca solo nelle aule dei tribunali o nei regolamenti di Bruxelles, ma nella capacità del continente di costruire un ecosistema tecnologico autonomo.

La sovranità tecnologica non è uno slogan: è la condizione minima per garantire che le scelte politiche europee non restino ostaggio di server, algoritmi e decisioni prese dall’altra parte dell’Atlantico.

Di Nicola Durante