Chi finanzia davvero la Global Sumud Flotilla? Navi, attivisti e misteri: dietro l’aiuto c’è anche lo show

Barche verso Gaza, vip a bordo e milioni di euro in ballo: aiuti umanitari o operazione politica travestita?

Ok, la Global Sumud Flotilla (GSF) ha alzato le vele con gente da 44 paesi, tra cui Greta Thunberg, Ada Colau, attivisti mischiati, barche civili, buone intenzioni, 45 tonnellate di aiuti tra cibo e medicinali. 

Ma adesso fermiamoci un attimo: i viveri non si pagano da soli. Le navi non si accendono con il vento di primavera. Chi tira fuori i soldi? Chi sostiene la logistica? I carburanti? Le dotazioni di bordo?

La GSF è nata da una fusione di movimenti umanitari e civili: Freedom Flotilla Coalition, Global Movement to Gaza, Maghreb Sumud Flotilla, Sumud Nusantara.  

È successo che l’Italia, nel suo pezzo, è coinvolta tramite raccolta di aiuti locali. A Genova, ad esempio, oltre 300 tonnellate di beni sono stati raccolti in pochi giorni da associazioni come Music for Peace e dai portuali.  

Ci sono anche figure pubbliche, celebri, che hanno fatto da testimonial o da sostegno morale, e partecipano attivamente come organizzatori. Questo porta inevitabilmente donazioni private, crowdfunding, appelli di solidarietà, ma rispetto al grande spettacolo in scena, la statistica richiede inevitabilmente capitali importanti.

In tal senso, non è chiaro se ci siano grandi fondi governativi dietro. Nessuna conferma che Stati o enti pubblici di peso finanzino direttamente l’operazione. Non abbiamo nomi precisi di grandi “sponsor” finanziari né cifre trasparenti oltre la logistica minima. Questo sarebbe interessante scoprirlo. Avere nomi e cognomi, chiarirebbe tanti dei dubbi recenti che stanno creando "cattivi sospetti" verso l'iniziativa.

Chi paga le barche stesse, l’equipaggio, le spese portuali, i carburanti — buona parte viene dalle donazioni, o così dicono gli organizzatori. Ma il dettaglio “chi versa quanto” resta nebuloso.

Non è assurdo immaginare che ci sia un intreccio tra attivismo, propaganda, fame di visibilità, e volontà politica. L’idea è bella: rompere il blocco navale, portare aiuto. Ma quando un’iniziativa diventa grande, con attivisti famosi, con media internazionali che registrano ogni movimento, i soldi spuntano da qualche parte. E lo spettro di “chi c’è dietro” diventa inevitabile.