Lavoratrici agricole thailandesi sessualmente aggredite in Israele, secondo rapporto Knesset il 100% delle intervistate ha subito violenze a lavoro
Un rapporto scioccante che emerge dalla Knesset sottolinea come il 100% delle lavoratrici agricole thailandesi intervistate in Israele ha dichiarato di aver subito aggressioni sessuali sul posto di lavoro
Nell'ottobre 2021, durante una seduta del Comitato Speciale per i Lavoratori Stranieri della Knesset israeliana (della quale in Occidente se ne ha notizia solo ora), è emerso uno dei dati più allarmanti nella storia moderna dei diritti dei lavoratori migranti: secondo una ricerca condotta dagli esperti di immigrazione, Dr. Yahel Kurlander e Dr. Shahar Shoham, il 100% delle lavoratrici agricole thailandesi intervistate in Israele - 654 su 654 - ha dichiarato di aver subito aggressioni sessuali sul posto di lavoro.
I numeri di una violenza sistematica
Il settore agricolo israeliano dipende in larga misura dalla manodopera straniera, con circa 25.000 lavoratori thailandesi che costituiscono la maggioranza della forza lavoro agricola del paese. Se i risultati dello studio dovessero riflettere la situazione generale, come purtroppo si teme, il numero di vittime di abusi sessuali potrebbe essere drammaticamente più alto di quanto documentato nella ricerca.
La Dottoressa Yahel Kurlander, sociologa specializzata in migrazione e questioni di genere presso l'Università di Haifa e ricercatrice del TraffLab, ha dedicato anni allo studio della migrazione lavorativa agricola dalla Thailandia verso Israele. La sua expertise e i suoi precedenti lavori accademici sul tema rendono particolarmente credibili e significativi i risultati di questa drammatica ricerca che non teme smentite di sorta.
Un sistema che abbandona le vittime
"Lo Stato di Israele ha abbandonato queste donne", ha dichiarato la Dottoressa Kurlander durante la presentazione del rapporto. Il sistema attuale crea una situazione paradossale e crudele: le lavoratrici che vogliono denunciare abusi non hanno un percorso chiaro per farlo, e il tentativo stesso di sporgere denuncia può comportare la perdita sia del lavoro che dell'alloggio.
Shiri Lev-Ran, commissaria per i diritti dei lavoratori stranieri del Ministero dell'Economia, ha evidenziato questa dinamica perversa: "Se una lavoratrice straniera è costretta a lasciare il lavoro a causa di una denuncia che ha presentato, di fatto perde anche il suo posto di residenza".
L'invisibilità statistica del terribile scandalo
Uno degli aspetti più inquietanti emersi durante l'audizione è stata l'ammissione da parte dei rappresentanti dell'Istituto Nazionale di Assicurazione e della Polizia israeliana che i loro sistemi non possiedono dati necessari per tracciare le denunce di lavoratori stranieri e immigrati.
Dei 25.494 casi di aggressione sessuale denunciati tra il 2017 e il 2021, solo il 4% proveniva da non-israeliani. Questo dato non indica che il problema sia limitato, ma piuttosto che il sistema non è progettato per raccogliere o elaborare queste informazioni, creando un'invisibilità statistica che perpetua l'impunità.
Il contesto della vulnerabilità
Le lavoratrici thailandesi in Israele si trovano in una posizione di estrema vulnerabilità strutturale. Arrivano nel Paese con permessi di lavoro temporanei che legano il loro status di residenza al mantenimento dell'impiego presso un datore di lavoro specifico. Molte provengono da contesti economici difficili e vedono nell'opportunità lavorativa in Israeleun modo per sostenere le proprie famiglie in patria. Questa dipendenza economica e legale crea un ambiente in cui il silenzio diventa una strategia di sopravvivenza, mentre la denuncia rappresenta un rischio esistenziale. Il cambiamento di datore di lavoro, teoricamente possibile, comporta costi elevati e procedure complesse che molte lavoratrici non possono permettersi.
Un pattern di abusi più ampio
La ricerca di Kurlander e Shoham non rappresenta un caso isolato ma fa parte di un quadro più ampio di documentazione di abusi sistematici. Già nel 2015, Human Rights Watch aveva pubblicato un rapporto dettagliato sulle violazioni dei diritti dei lavoratori thailandesi nel settore agricolo israeliano, documentando salari insufficienti, orari eccessivi, condizioni di lavoro pericolose e alloggi inadeguati. Il sistema dei lavoratori migranti in Israele è regolamentato da accordi bilaterali, incluso quello firmato con la Thailandia nel 2011 (TIC - Thailand-Israel Cooperation on the Placement of Workers), che ha ridotto significativamente le commissioni di reclutamento ma non ha affrontato altre forme di sfruttamento.
Le conseguenze del silenzio istituzionale
La parlamentare laburista Ibtisam Mara'ana, che ha presieduto l'audizione, ha espresso sgomento per quanto emerso e ha promesso discussioni di follow-up. Tuttavia, a distanza di anni dalla presentazione del rapporto, non sono state implementate riforme strutturali significative nel sistema di protezione dei lavoratori migranti. L'assenza di meccanismi di protezione efficaci e di vie sicure per la denuncia crea un ambiente in cui l'impunità diventa sistemica. Quando il 100% dei lavoratori in un settore riporta abusi sessuali, non si tratta più di "mele marce" individuali, ma di una cultura di violenza istituzionalizzata.
Implicazioni internazionali e copertura mediatica
Nonostante la gravità dei dati emersi, il rapporto ha ricevuto limitata attenzione dai media internazionali mainstream. Questa disparità nella copertura solleva interrogativi sui criteri di selezione delle notizie e sull'attenzione riservata alle violazioni dei diritti umani quando le vittime appartengono a categorie sociali marginalizzate.
La vicenda delle lavoratrici thailandesi si inserisce in un contesto globale più ampio di sfruttamento dei lavoratori migranti, dove la combinazione di dipendenza economica, isolamento sociale e mancanza di protezioni legali crea condizioni ideali per l'abuso sistematico.
La necessità di riforme urgenti
Gli esperti che hanno condotto la ricerca hanno identificato diverse aree che richiedono interventi immediati:
- Riforma del sistema di denuncia: creazione di meccanismi indipendenti e sicuri per la segnalazione di abusi, che non comportino rischi per lo status lavorativo e residenziale delle vittime.
- Separazione tra lavoro e residenza: eliminazione del sistema che lega automaticamente l'alloggio al rapporto di lavoro, fornendo alternative abitative sicure e indipendenti.
- Sistematica raccolta dati: implementazione di sistemi di monitoraggio che raccolgano specificamente dati su denunce e violazioni che coinvolgono lavoratori migranti.
- Rafforzamento delle ispezioni: aumento significativo dei controlli nel settore agricolo con focus specifico sulla protezione dei diritti dei lavoratori stranieri.
- Accesso facilitato al sistema giudiziario: garantire supporto legale gratuito e servizi di traduzione per consentire un accesso effettivo al sistema giudiziario.
In conclusione, l'importante (e più che inquietante) ricerca presentata alla Knesset rappresenta più di una semplice statistica shock: è la documentazione di una violenza generalizzata e sistematica che coinvolge migliaia di donne vulnerabili. Il fatto che il 100% delle intervistate abbia riportato abusi sessuali non può essere ignorato o minimizzato.
Naturalmente la responsabilità di tali indicibili orrori non ricade solo sui singoli perpetratori, ma su un sistema che ha creato le condizioni strutturali per l'impunità. Senza riforme immediate e sostanziali, migliaia di lavoratrici continueranno a subire violenze in silenzio, intrappolate in un sistema che le rende invisibili e prive di protezione.
La comunità internazionale, le organizzazioni per i diritti umani e i governi coinvolti negli accordi di migrazione lavorativa hanno la responsabilità morale di affrontare questa crisi con l'urgenza che merita. Il costo del silenzio si misura in vite umane distrutte e in una violazione sistematica della dignità umana che non può essere tollerata in una società che si dice democratica.
Di Eugenio Cardi