A Israele non basta causare la carestia a Gaza e invadere la Cisgiordania: nello stesso momento attacca Siria e Yemen
Ad Israele non basta causare la carestia a Gaza e invadere la Cisgiordania: nello stesso momento lancia un attacco di terra in Siria e bombarda Sana'a, capitale yemenita
Truppe israeliane entrano nel sud-ovest di Damasco: l'IDF ha lanciato ieri, 25 agosto, un'operazione di terra in territorio siriano, con 11 veicoli militari e oltre 60 soldati che sono penetrati nella zona di Beit Jinn, situata nella Siria meridionale a sud-ovest di Damasco. L'incursione, confermata sia dalla televisione di Stato siriana che dal quotidiano israeliano Haaretz, rappresenta una ulteriore significativa escalation nelle tensioni regionali.
Dettagli dell'operazione militare
L'operazione si è concentrata nella cittadina di Beit Jinn, che si trova a circa 50 chilometri da Damasco e a diverse miglia a est del confine siriano-israeliano. La zona è stata teatro di ripetute incursioni israeliane negli ultimi mesi, con Israele che tenta di giustificare tali incursioni militari come necessarie per catturare armi che potrebbero cadere nelle mani di presunte "forze ostili", senza spiegare nulla di più, in particolare a quali forze ostili si farebbe riferimento. In realtà non è la prima volta che Beit Jinn diventa obiettivo militare israeliano. A giugno, le forze israeliane avevano già condotto un'operazione nella stessa area per arrestare presunti membri di Hamas, mentre precedenti raid avevano preso di mira militanti legati al gruppo palestinese.
La reazione siriana
Il governo siriano ha naturalmente condannato fermamente l'incursione. Damasco ha definito l'operazione una "pericolosa escalation" e una "palese violazione della sovranità e dell'integrità territoriale della Repubblica Araba Siriana".
L'incursione avvenuta nel territorio di un Paese terzo e sovrano e la conseguente condanna arrivano in un momento particolarmente delicato, proprio mentre i due Paesi stanno esplorando la possibilità di normalizzare le relazioni attraverso canali diplomatici indiretti. L'attacco sferrato in territorio siriano da parte dello Stato sionista fa quindi pensare ad un brusco raffreddamento di tali rapporti diplomatici da parte di Israele, con ministri di estrema destra (in particolare Ben-Gvir e Smotrich), oltre lo stesso Netanyahu, che accarezzano da lungo tempo il pericolosissimo sogno proibito della realizzazione della cosiddetta "Grande Israele", cosa della quale oramai non fanno alcun mistero e che andrebbe a scapito dei Paesi limitrofi, in particolare Siria, Libano e Giordania, e territori palestinesi occupati, ovviamente.
Il quadro regionale più ampio
L'operazione di ieri si inserisce quindi in un contesto di crescente instabilità regionale, totalmente causata dallo Stato sionista. Israele ha mantenuto una presenza militare in Siria sin dalla caduta del regime di Bashar al-Assad nel dicembre 2024, stabilendo almeno nove avamposti militari nel territorio siriano.
Le relazioni tra i due Paesi sono caratterizzate da una duplice dinamica: da un lato, operazioni militari israeliane al di là dei propri confini, teoricamente giustificate dal voler prevenire minacce alla sicurezza; dall'altro, veri o finti tentativi diplomatici di raggiungere una stabilizzazione della situazione. L'operazione militare di ieri 25 agosto 2025 potrebbe rappresentare quindi un test cruciale per i negoziati in corso. La comunità internazionale osserva con attenzione gli sviluppi, nella speranza che i canali diplomatici prevalgano sulle tensioni militari in una regione già resa profondamente instabile dalle continue aggressioni militari dello Stato sionista, ai palestinesi di Gaza e di Cisgiordania e a diversi Paesi limitrofi. Infatti in questi ultimi giorni l'escalation militare israeliana non si è limitata alla Siria. Due giorni fa, domenica 24 agosto, Israele ha bombardato la capitale yemenita Sana'a, colpendo impianti petroliferi, centrali elettriche e il palazzo presidenziale, causando almeno 10 morti e 92 feriti, secondo le autorità sanitarie yemenite. Tutto ciò ha portato l'inviato americano Thomas Barrack nuovamente in Israele, per incontrare il Primo Ministro Benjamin Netanyahu (sul quale pende un mandato di cattura internazionale emesso dalla CPI) e discutere della situazione in Siria e Libano, segnalando il coinvolgimento attivo degli Stati Uniti nel processo di mediazione.
L'inquietante problema che tiene sulle corde l'intero Pianeta consiste però nel fatto che le operazioni militari israeliane sono condotte da un governo considerato il più di destra nella storia del Paese, che include ministri dalle posizioni fanaticamente estremiste e messianiche. Tra questi, il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, entrambi leader di partiti ultranazionalisti religiosi, entrambi sanzionati da Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Norvegia per "incitamento alla violenza estremista" contro i palestinesi.
Washington ha mostrato interesse nel favorire un miglioramento delle relazioni tra Israele e la nuova leadership siriana, nella speranza di stabilizzare la regione dopo anni di conflitto, ma finché al governo di Israele vi resteranno tali pericolosissime figure sarà davvero difficile che si potrà addivenire in un futuro prossimo ad una normalizzazione dei rapporti in Medio Oriente.
Di Eugenio Cardi