D’Alema sbaglia bersaglio: Israele non è uno Stato terrorista, è peggio, è uno Stato fuori di testa

L’ex baffo “rosso” della politica italiana torna a farsi sentire, ma spara a salve e non centra bene il bersaglio

Da Campiglia Marittima – no, non è un nome fittizio, esiste davvero – Massimo D’Alema si lancia in una delle sue uscite da palco che manco ai tempi d’oro della Quercia. Con lo sguardo fiero di chi sa tutto e il tono da “mi ascoltate perché sono l’ultimo che legge ancora Marx in lingua originale”, lancia la bomba: Israele è uno Stato terrorista.

Boom. Applausi. Standing ovation da parte degli ultimi irriducibili nostalgici della sinistra col Rolex.

Ma c’è un problema: ha sbagliato etichetta.

D’Alema, dai, un po’ di creatività. Terrorista? Troppo facile, troppo scontato, troppo… anni Duemila. Il vero problema dello Stato israeliano di Netanyahu non è che faccia paura. È che è clinicamente instabile. Parliamo di un Governo in preda a una crisi mistico-nazionalista, più confuso di un influencer no-vax a un congresso medico.

Altro che terroristi. I terroristi almeno hanno uno scopo nobile, a modo loro. Qui siamo oltre: deportazioni, stermini, propaganda etnica, vittimismo. Non è terrorismo, è revisionismo storico con la divisa e il drone. E se vi sembra eccessivo il paragone con il Terzo Reich, fatevi un giro a Gaza, poi ne riparliamo.

Ma attenzione, perché il baffo non si limita a insultare Netanyahu: profetizza pure bombe sui treni europei, come se fossimo tornati al 2004 e Bin Laden stesse ancora usando il Nokia 3310. Panico? Nah. La verità è che nessuno ha voglia (o soldi) per finanziare il caos in una UE che si autodistrugge benissimo da sola.

Nel frattempo, D’Alema si unisce al club di Di Battista, Rubio e compagnia cantante, quelli che hanno trasformato i loro profili social in barricate di libertà.

Massimo, peró, ha il tirato suoi il coraggio (o la follia?) di dire quello che molti pensano e nessuno ha il coraggio di twittare: Netanyahu va “fermato” e giudicato in una Norimberga 2.0 (aggiungiamo noi), con biglietto di sola andata.

Tradotto: tribunale internazionale, processo pubblico e, se proprio vogliamo fare i nostalgici, forca modello 1946.

Insomma, D’Alema ci prova a tornare rilevante. E forse, paradossalmente, c’è riuscito: in un mondo dove tutti hanno paura a dire cose da bar, lui le dice da palco. Non benissimo, ma le dice.