Usa, l’economia americana con i dazi fa vincere Trump e schiaccia un’Europa inutile, senza potere negoziale e peso politico
l’Unione europea non ha forza negoziale perché non ha peso politico. Ognuno gioca per sé ed è normale che lo faccia visto che qui è una questione vitale
Dopo le tante chiacchiere sulla follia di Trump di scardinare il mondo con i suoi dazi e il relativo balletto di cifre, la domanda è una e una sola: come va l’economia Usa?
Un giornale economico autorevole, liberista e decisamente anti-dazi, come The Wall Street Journal lo ha scritto a chiare lettere: va bene. E lo scrive senza girarci troppo attorno così.
“Quando il presidente Trump ha imposto dazi alle nazioni di tutto il mondo la scorsa primavera, molti economisti temevano che l’aumento dei prezzi e i tagli alla spesa avrebbero potuto paralizzare l’economia. La fiducia dei consumatori è crollata. L’indice azionario S\&P 500 è sceso del 19% tra febbraio e aprile. Il mondo ha trattenuto il respiro, in attesa del tracollo. Ma ciò non è accaduto. Ora aziende e consumatori stanno ritrovando sicurezza, e crescono le prove che chi aveva frenato i consumi sta ricominciando a spendere. Il mercato azionario sta raggiungendo livelli record. L’indice della fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan, che era precipitato ad aprile al livello più basso degli ultimi tre anni, ha ricominciato a salire. Le vendite al dettaglio hanno superato le previsioni degli economisti, e l’inflazione galoppante non si è ancora concretizzata. A almeno per ora”.
Per ora, scrive il Wall Street Journal che, in questa inchiesta, legge i dazi solo in chiave economico/finanziaria. Tutti però sappiamo - anche il WSJ - che i dazi sono usati da Trump in chiave prevalentemente politica: è questa la grande scommessa del paradigma Maga. Tant’è che gli analisti sottolineano correttamente che il vento economico era favorevole anche nell’ultimo periodo di Joe Biden ma quel dato non ha pesato sufficientemente per meritare fiducia. Le trattative sui dazi commerciali nascondono altre trattative politiche: per esempio la trattativa col Giappone include un peso militare congiunto sull’area dell’Indo Pacifico in ottica di controllo sulla Cina. La stessa strategia anti-Cina è valsa per chiudere con la Gran Bretagna e con gli alti.
Cosa sta facendo dunque Trump? Ribalta il mondo e gioca sullo stesso tavolo viziato della globalizzazione, viziato dall’avvitamento Wto/Cina. Ecco Trump, con fare piratesco, si siede al tavolo e comincia a fare il matto per attirare l’attenzione, prima parlando di dazi (spettacolarizzandoli) e poi sparando percentuali altissime che puntualmente vengono abbassate, ma non si sa quanto. In un contesto impregnato di formalismo questo atteggiamento del presidente americano è immediatamente scambiato come follia fine a se stessa, autodistruttiva; ecco il perché del rally sui mercati, delle critiche sui giornali, dell’allarmismo dei soliti sapientoni il cui mix non poteva che provocare paura tra i consumatori. Invece, poco alla volta l’America è uscita dall’ipnosi provocata da quei soliti e ha smesso di trattenere il fiato; si è sciolta e gli americani hanno ripreso a fare gli americani cioè a non aver paura. Hanno capito che Trump stava facendo il matto perché doveva rompere in grande fretta quel gioco globalizzato creato dalla Cina in un tempo lungo (regalatole dai progressisti e dai mercatisti in appoggio con l’Organizzazione mondiale del commercio) che aveva danneggiato il “Made in Usa”.
Nel breve Trump ha dimostrato che con il nuovo schema di gioco l’economia americana non avrebbe subito traumi rispetto all’andamento sotto Joe Biden e che, anzi, cominciava a impattare anche su quella popolazione che si sentiva tagliata fuori, e nel lungo porterà i benefici del nuovo corso. Perché è questa la scommessa: i dazi come leva politica. E Trump la sta vincendo, nel senso che con la minaccia dei dazi apre trattative per tarare a proprio vantaggio la bilancia commerciale. La strategia di Trump dimostra anche il peso dei players globali: chi pesa politicamente quanto l’America sta sul ring, altrimenti subisce. E arrivo al punto: l’Europa non esiste, non pesa politicamente e anzi la sua apparente forza di mercato la espone a essere preda.
Le chiacchiere sul faremo e sul saremo non servono in un gioco che si consuma hic et nunc: l’Unione europea non ha forza negoziale perché non ha peso politico. Ognuno gioca per sé ed è normale che lo faccia visto che qui è una questione vitale. La Francia può alzare la testa e può triangolare con Gran Bretagna e Germania perché con gli inglesi parlano lo stesso linguaggio di potenza nucleare e con la Germania perché diventerà a breve la prima forza militare. L’Italia aveva e avrebbe un proprio valere solo se si ricorda che sta nel mezzo del Mediterraneo e che da qui tessiamo la nostra tela in difesa dell’interesse nazionale. Se continuiamo a balbettare su tutto quel che accade in Medio Oriente (la Meloni si è fatta fregare da Macron pure sul riconoscimento della Palestina!) e non facciamo sentire il nostro peso in Africa, non ci resta che il vassallaggio con gli americani. I quali avranno tutte le ragioni per trattarci da periferia.
Di Gianluigi Paragone