Il genocidio di Srebrenica, l’ultimo capitolo del Secolo Breve che rivive nella pelle del Duemila

Dopo trent’anni il genocidio di Srebrenica si chiama Gaza, si specchia nelle stesse responsabilità, negli stessi silenzi, nelle stesse dinamiche relazionali

Com’è un specchio dopo trent’anni? Uguale. Almeno quello della Storia.

Dopo trent’anni il genocidio di Srebrenica si chiama Gaza, si specchia nelle stesse responsabilità, negli stessi silenzi, nelle stesse dinamiche relazionali. Trent’anni fa in quella cittadina sperduta in una Jugoslavia che si stava cambiando d’abito nel cambio di stagione della crisi sovietica ma restando negli stessi indumenti intimi, le loro storiche divisioni, si consumava il massacro di bosniaci musulmani per mano serba; nel libro del Secolo Breve gli Uomini si apprestavano a scrivere l’ultimo Capitolo di un inquieto secolo politico cominciato proprio a Sarajevo con l’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria-Este e di sua moglie Sofia per mano di Gavrilo Princip, nazionalista serbo-bosniaco; il Novecento di Hobsbawn cominciò così, con un colpo di pistola detonatore della Prima Guerra Mondiale. E se ne andò con la guerra negli stessi Balcani che non hanno mai smesso di gorgogliare, borbottare, inquietare un pezzo d’Europa che l’Europa non sa decifrare. Srebrenica trent’anni dopo si specchia nel massacro di Gaza: nei Balcani fu la decisione del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia a riconoscere il genocidio, per la martoriata terra di Palestina invece non bastano i numeri e le condizioni per riconoscere il Male compiuto da Netanyahu.

Srebrenica, dicevamo, doveva essere un riparo sicuro: lì si erano messi i Caschi Blu dell’Onu, quasi cinquecento miliatari olandesi. Che però rimasero a guardare, inebetiti coi fucili indosso, storditi nelle loro divisi mentre le milizie del generale Ratko Mladi azzannavano migliaia di bosniaci musulmani, uccidevano uomini, violentavano donne, si divertivano su bambini e anziani. Nessun rispetto per i "turchi", come li chiamavano in modo dispregiativo. Li umiliavano e li irridevano mentre scavano le fosse comuni prima di essere freddati. Quelle stesse fosse comuni dove poi sarebbero stati trovati corpi maciullati e scomposti, tanto che ancora oggi - trent’anni dopo - è difficile dare una identità a centinaia di persone.

Questo è il giorno del ricordo e quel paesino sembra non bastare per contenere chi vuole rendere omaggio: del resto quanto spazio ci vuole per contenere un genocidio. E quanti spazi ci vogliono per contenere tragedie che abbiamo dimenticato (Ruanda, per esempio) e che dovevano/potevamo evitare (Ucraina). Per ricordare quelle vittime è sceso il segretario generale della Nato, Mark Rutte: olandese come olandesi erano quei soldati che “tradirono” i civili, che non li seppero difendere dalle scorribande dei militari di Mladi ma che il governo olandese ha risarcito perchè traumatizzati per quello che videro a Srebrenica! Loro, i soldati mandati lì per essere attori e non spettatori.

Qualcuno a Srebrenica ricorda che gli stessi caschi blu offendevano i bosgnacchi e che il comandante dei caschi blu, Thom Karremans, brindò con Ratko Mladi durante i negoziati successivi alla conquista di Srebrenica. Ecco perché le parole di commiato di Rutte hanno raggelato l’uditorio: "Non dimenticheremo mai gli orrori. È nostro dovere ricordare. La Nato è intervenuta per fermare una guerra che ha causato centinaia di migliaia di vittime. Vi siamo stati accanto allora e lo saremo anche adesso". Poteva restare a casa, questo inutile dirigente premiato per chissà quali meriti.

Poteva stare a casa, non c’era bisogno della sua testimonianza senza rispetto dei fatti, di fronte a chi invece entra nel Memoriale del genocidio e nel cimitero come se entrasse ancora nella carne viva della Storia. Perché 8372 persone sepolte, con altre sette tombe per le ultime sette vittime identificate ufficialmente pronte ad aggiornare il macabro conto. Quanto dolore, quanto vomito, quanta rabbia, quanto… quanto c’è voluto per ricostruire il dna di resti umani trovati nelle fosse: dopo le esecuzioni con le mitragliatrici e le fosse comuni, venne dato ordine di rimuovere e sparpagliare i corpi per disperdere le prove. E mancano ancora mille vittime di Srebrenica. Per chiudere l’ultimo conto del Secolo Breve. Che però non ha smesso di pulsare sotto la pelle del nuovo millennio.

(Finora 54 persone sono state condannate per i crimini commessi a Srebrenica, per una pena complessiva di 781 anni di carcere e cinque ergastoli. Dopo anni di latitanza, dal 2011 il generale Ratko Mladi?, condannato per crimini di guerra e genocidio, è detenuto a Scheveningen, il penitenziario del Tribunale dell'Aja)

Di Gianluigi Paragone