"The Greater Israel": l'ambizioso, folle e pericolosissimo progetto colonialista di Netanyahu va fermato ad ogni costo se non vogliamo che il Medio Oriente imploda su se stesso

L'unica soluzione è che i Paesi occidentali si decidano una volta per tutte a rinunciare al miliardario traffico di armi con Israele ponendo un freno alle sue mire espansionistiche, imponendo il riconoscimento dello Stato palestinese e la cessazione totale del regime di apartheid e di continua aggressione verso il suo popolo

Il criminale e sanguinario triumvirato Netanyahu-BenGvir-Smotrich al governo dello Stato occupante di Israele, sta fortemente e pericolosamente portando avanti (con la totale complicità americana e la codarda inerzia europea) un folle progetto espansionistico e colonialista, nel quale naturalmente non è contemplato alcuno Stato palestinese.

Il concetto di "Grande Israele" (Eretz Yisrael HaShlema in ebraico) rappresenta una delle questioni più controverse, complesse e inquietanti del panorama geopolitico mediorientale. Si tratta di un'idea espansionista vecchia di 100 anni ma che con il genocida premier israeliano Netanyahu (sul quale spicca un mandato di cattura emesso dalla Corte Penale Internazionale ma che viene assurdamente snobbato da buona parte dei Paesi europei) ha ripreso nuovo vigore attraverso un piano che metterebbe in grave subbuglio l'intero Medioriente e che prevederebbe quindi l’estensione dei confini israeliani verso Est, Sud-Est e Ovest, con buona pace della UE, dato che Israele ha già ben testato l'incredibile e scandalosa inerzia dell'Europa intera rispetto a quel che hanno fatto e stanno facendo di altamente criminale ai gazawi.

Il Piano espansionistico sionista prende le mosse già dal momento in cui nel 1917 il Ministro degli Esteri inglese Arthur Balfour - con la sua lettera al banchiere Rothschild (rappresentante della comunità ebraica inglese e del movimento sionista) – intese voler regalare la Palestina ai sionisti ebrei. Il movimento sionista ha storicamente giustificato tali velleità espansionistiche (l'intenzione di  Netanyahu sarebbe quella di estendere i confini dal fiume Nilo a Ovest, fino al fiume Eufrate a Est, comprendendo così la Palestina, la Giordania, il Libano, gran parte della Siria e la Turchia meridionale) e il conseguente spostamento (deportazione?) delle popolazioni indigene attraverso comode quanto altamente improbabili interpretazioni bibliche, dato che ovviamente la comunità accademica non può certamente considerare la Bibbia come una fonte storica verificata, ma tant'è…

  • Theodor Herzl e le prime formulazioni

La moderna concezione politica della Grande Israele trova le sue origini negli scritti di Theodor Herzl, fondatore del sionismo politico, che nei suoi scritti immaginava uno stato ebraico che si estendesse "dal torrente d'Egitto all'Eufrate". Tuttavia, le richieste territoriali di Herzl mostravano un carattere dinamico piuttosto che una delimitazione territoriale fissa, spesso presentate come proposte negoziali massimaliste per ottenere quanto più possibile attraverso le varie trattative.

  • Il movimento revisionista e Ze'ev Jabotinsky

Dopo che Gran Bretagna e Francia divisero il Levante in aree di influenza e dopo l'istituzione di un emirato arabo in Giordania, i sionisti mainstream definirono il loro progetto per uno stato ebraico entro i limiti del mandato britannico della Palestina. Il leader sionista Ze'ev Jabotinsky, fondatore della corrente revisionista del sionismo, dissentì e insistette che il progetto sionista dovesse includere la Giordania. Fondò quindi la terroristica banda paramilitare Irgun, successivamente responsabile di varie atrocità durante la Nakba del 1948, il cui emblema includeva una mappa sia della Palestina che della Giordania con l'iscrizione "Terra d'Israele".

  • Il Piano Yinon: strategia per gli anni '80

Arriviamo così agli anni '80, con il Piano Yinon che delineava una strategia geopolitica radicale per il Medio Oriente, basata sul principio della frammentazione degli stati arabi circostanti. Secondo Yinon, la sopravvivenza e l'espansione di Israele dipendevano dalla capacità di indebolire i suoi vicini attraverso la divisione interna e la creazione di stati più piccoli e conflittuali.

Il documento proponeva specificamente:

  • La divisione del Libano in diversi stati settari
  • La frammentazione della Siria lungo linee etniche e religiose
  • Lo smembramento dell'Iraq in componenti sciite, sunnite e curde
  • La destabilizzazione dell'Egitto attraverso tensioni interne
  • L'indebolimento della Giordania per facilitarne l'eventuale incorporazione.

 

  • L'influenza duratura del Piano

Nonostante le ovvie controversie seguite a tali indecenti e immorali progetti espansionistici, molti analisti hanno avuto modo di notare curiosi e sorprendenti paralleli tra le previsioni di Yinon e gli sviluppi regionali successivi, dalle guerre civili in Libano e Siria al caos post-invasione in Iraq. Questo ha alimentato teorie secondo cui il piano non fosse meramente predittivo, ma rappresentasse una roadmap strategica attivamente perseguita e diretta dalla potentissima AIPAC, lobby ebraica made in USA, con l'intento – nemmeno poi così segreto – di voler indirizzare la politica estera americana verso una più incisiva influenza egemonica statunitense in tutto il Medio Oriente al fine di acquisire territori, riserve di petrolio e gas e per mettere fuori gioco – a modo loro, naturalmente, senza troppo garbo - una volta per tutte, il popolo palestinese, come già fin dal 2017 stigmatizzavano le Nazioni Unite, la quale organizzazione internazionale precisava che lo Stato occupante di Israele aveva già sottratto con la forza e la violenza ai legittimi proprietari palestinesi ampi fertili territori, cosa che naturalmente non solo non si è arrestata (e la UE non ha fatto nulla per arrestarla) ma è andata di gran lunga peggiorando negli ultimi due anni con il governo estremista Netanyahu-BenGvir-Smotrich, con il totale saccheggio di terre palestinesi della Cisgiordania attraverso centinai di migliaia di coloni armati e protetti dall'esercito.

  • L'implementazione pratica: insediamenti e politiche espansioniste: La strategia degli insediamenti

Dal 1967 infatti, la politica degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e Gaza ha rappresentato l'implementazione pratica dell'ideologia della Grande Israele. Questi insediamenti, considerati illegali dal diritto internazionale, hanno seguito una logica strategica precisa:

  • Controllo delle risorse idriche: molti insediamenti sono stati costruiti sopra o vicino alle principali falde acquifere
  • Frammentazione territoriale: la distribuzione degli insediamenti impedisce la continuità territoriale palestinese
  • Controllo delle vie di comunicazione: posizioni strategiche lungo le principali arterie di trasporto.

 

  • I governi di destra e l'accelerazione

Così come sopra accennato, i governi israeliani di destra, particolarmente quelli guidati dal Likud, hanno accelerato significativamente la politica espansionista. Sotto Benjamin Netanyahu, il numero di coloni in Cisgiordania è cresciuto da circa 250.000 nel 1993 a oltre 450.000 oggi, senza contare i circa 200.000 israeliani che vivono a Gerusalemme Est.

Tale implementazione del progetto della Grande Israele ha comportato naturalmente conseguenze altamente drammatiche per la popolazione palestinese:

  • Espropriazioni massicce: oltre il 60% della Cisgiordania è sotto controllo israeliano diretto
  • Demolizioni: migliaia di case palestinesi demolite per "costruzioni illegali"
  • Restrizioni alla libertà di movimento: oltre 500 checkpoint e barriere stradali
  • Accesso limitato alle risorse: i palestinesi hanno accesso solo al 20% delle risorse idriche della Cisgiordania.

 

  • La posizione del diritto internazionale

La Corte Internazionale di Giustizia, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU e numerose risoluzioni internazionali hanno ripetutamente dichiarato illegali gli insediamenti israeliani. Il Quarto Rapporto di Ginevra del 1949 proibisce esplicitamente a una potenza occupante di trasferire la propria popolazione civile nei territori occupati.

  • La Grande Israele oggi: tra realtà e aspirazioni

Oggi, l'idea della Grande Israele mantiene un significativo sostegno politico in Israele. Sondaggi recenti mostrano che circa il 35-40% degli israeliani ebrei sostiene l'annessione di almeno parti della Cisgiordania. Partiti come il Likud, Yamina e altri hanno incluso nei loro programmi elementi che richiamano l'ideologia espansionista. Il movimento dei coloni religiosi, guidato da figure come il rabbino Tzvi Yehuda Kook, ha fornito una giustificazione teologica all'espansione territoriale. Secondo questa visione, la redenzione messianica del popolo ebraico è legata al controllo della Terra d'Israele biblica nella sua interezza.

  • Le implicazioni regionali e globali: l'impatto sulla stabilità regionale

Il progetto della Grande Israele ha naturalmente fortemente e significativamente contribuito all'instabilità regionale:

  • Radicalizzazione: le politiche espansioniste hanno alimentato movimenti di resistenza e gruppi estremisti
  • Conflitti prolungati: l'impossibilità di raggiungere una soluzione basata sui due Stati
  • Tensioni internazionali: crescenti critiche da parte della comunità internazionale

 

  • La questione della soluzione dei due Stati

L'espansione continua degli insediamenti ha reso sempre più difficile l'implementazione di una soluzione basata su due Stati. Molti analisti sostengono che siamo ormai di fronte a una realtà di Stato unico, con implicazioni profonde per la natura democratica di Israele.

  • Prospettive future, gli scenari possibili

Il futuro del progetto della Grande Israele dipenderà da diversi fattori:

  • Pressioni internazionali: crescenti sanzioni e isolamento diplomatico
  • Resistenza palestinese: l'evoluzione delle forme di resistenza
  • Cambiamenti demografici: la crescita della popolazione palestinese
  • Opinione pubblica israeliana: l'evoluzione delle posizioni interne.

In conclusione, il progetto della Grande Israele rappresenta una delle questioni più complesse, pericolose e discusse del nostro tempo. Radicato in narrazioni religiose antiche ma implementato attraverso strategie geopolitiche moderne poste in atto attraverso la violenza della forza militare, ha trasformato radicalmente il panorama mediorientale negli ultimi decenni.

La tensione tra aspirazioni espansioniste e realtà demografiche, legali e internazionali continua a plasmare non solo il conflitto israelo-palestinese, ma l'intera stabilità regionale. La risoluzione di questa contraddizione fondamentale rimane una delle sfide più urgenti per la pace nel Medio Oriente e per la comunità internazionale nel suo complesso.

La storia della Grande Israele ci ricorda come le idee, anche quelle apparentemente relegate al passato, possano avere conseguenze profonde, durature e altamente rischiose quando vengono tradotte in politiche concrete. In un mondo sempre più interconnesso, le ripercussioni di questo progetto si estendono pericolosamente ben oltre i confini del Medio Oriente, toccando questioni fondamentali di diritto internazionale, giustizia e coesistenza pacifica tra i popoli. L'unica soluzione a tutto ciò, prima che la miccia innescata faccia temibilmente implodere l'intero Medio Oriente, è che i Paesi occidentali si decidano una volta per tutte a rinunciare al miliardario traffico di armi con lo Stato di Israele ponendo un freno alle mire espansionistiche di quest'ultimo, imponendo il riconoscimento dello Stato palestinese e la cessazione totale del regime di apartheid e di continua aggressione verso il popolo palestinese.

di Eugenio Cardi