Massacro di Srebrenica, dall’ex Jugoslavia alla Palestina, la comunità internazionale assiste ancora all’annientamento di un popolo
Le somiglianze tra la pulizia etnica del ‘95 e l’offensiva di Netanyahu oggi sollevano interrogativi sulla giustizia e sull’indifferenza globale
L’11 luglio 1995, nel cuore dell’Europa, si consumò uno degli episodi più atroci della storia recente: il massacro di Srebrenica. Più di 8.000 uomini e ragazzi musulmani bosniaci vennero separati dalle loro famiglie, giustiziati e gettati in fosse comuni dalle forze serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladić. Il tutto sotto lo sguardo impotente – e per molti colpevole – della comunità internazionale. A distanza di trent’anni, la parola “genocidio” risuona con un’eco drammatica a Gaza, dove la popolazione palestinese affronta una delle campagne militari più violente dell’era contemporanea, sotto la guida del governo israeliano di Benjamin Netanyahu.
Il parallelo tra Srebrenica e Gaza non è una mera provocazione retorica, ma un richiamo etico e politico. In entrambi i casi, si assiste alla sistematica distruzione di una popolazione civile, alla disumanizzazione del “nemico”, al bombardamento di centri abitati, scuole, ospedali. A Srebrenica si parlava di “pulizia etnica”; a Gaza si parla di “lotta al terrorismo”. Ma il risultato è lo stesso: migliaia di morti, la maggior parte civili, un popolo ridotto alla fame, alla fuga, alla disperazione.
Nel 1995, le Nazioni Unite avevano dichiarato Srebrenica “zona protetta”. Eppure i caschi blu olandesi non intervennero. A Gaza, l’ONU denuncia crimini di guerra, ma non dispone di strumenti concreti per fermare l’offensiva israeliana. La comunità internazionale appare ancora una volta paralizzata, se non complice, alimentando un senso di impunità che ricorda tragicamente quanto avvenne nei Balcani.
Ratko Mladić e Radovan Karadžić sono stati processati e condannati per genocidio. Netanyahu, invece, gode del sostegno di alleati potenti e di una narrativa dominante che spesso liquida le denunce come propaganda. Eppure, le immagini da Gaza – bambini estratti dalle macerie, famiglie distrutte, quartieri rasi al suolo – raccontano una verità che nessuna diplomazia potrà ignorare a lungo.
Il paragone non è solo storico, ma morale. La memoria di Srebrenica ci obbliga a non voltare lo sguardo. Perché l’orrore non si ripete mai nello stesso modo, ma si traveste, si giustifica, si normalizza. E chi tace, oggi come allora, ne è complice.
Di Aldi Luigi Mancusi