10 Luglio 2025
Fonte LaPresse
Apprendiamo in questi giorni che Goldman Sachs ha assunto l'ex premier britannico Sunak come consulente senior. Ancora una volta, si manifestano con adamantino profilo i rapporti incestuosi tra politica e alta finanza: nel suo aspetto più generale, l'ordine neoliberale di cui siamo, nostro malgrado, abitatori si caratterizza per un rapporto di forza in grazia del quale la finanza interviene senza sosta nella politica, direzionandola e orientandola secondo i propri desiderata, senza che, a propria volta, la politica possa intervenire nella finanza per disciplinarla e normarla, secondo quello che si potrebbe con diritto definire il primato del politico. Sicché quella che viene trionfalmente e pomposamente definita democrazia coincide oggi in toto con una plutocrazia neoliberale finanziaria a base imperialistica, nei cui spazi blindati decidono autocraticamente i mercati finanziari: quei mercati finanziari che, qualora i governi osino discostarsi dai loro imperativi, intervengono massicciamente con il ricatto dello spread e con veri e propri colpi di Stato finanziario, come quello subito dall'Italia nel 2011. Viviamo d'altro canto nel tempo in cui le agenzie di rating valutano anche gli Stati, trattati alla stregua di ogni altra azienda. E come sul piano geopolitico vengono qualificati come "Stati canaglia" quei governi che resistono all'imperialismo della civiltà a stelle e strisce, così sul piano finanziario vengono definiti "Stati inaffidabili" e "populisti" quelli che non rispondono sull'attenti agli imperativi dell'alta finanza cosmopolitica. La categoria di populismo risulta, sotto questo riguardo, particolarmente interessante: si stigmatizzano come populisti quei governi che danno ascolto alla volontà del popolo. Il tacito corollario è che i governi dovrebbero dare ascolto sempre e solo alla volontà delle banche e del sistema finanziario, limitando il più possibile ogni spazio residuo di sovranità popolare. La vicenda dell'ex premier britannico risulta particolarmente istruttiva: esiste un vero e proprio circuito chiuso tra finanza e politica; un circuito chiuso in forza del quale i politici, terminato il loro mandato, passano nelle sfere dell'alta finanza e, con movimento inverso, gli strateghi del sistema finanziario globale entrano agevolmente in politica per tutelare gli interessi della finanza predatoria senza confini. Oltre al caso recente dell'ex premier britannico, si possono rammemorare quelli di Romano Prodi e di Mario Draghi, i quali, prima di accedere alle alte sfere dell'Unione Europea, ebbero incarichi di prestigio in Goldman Sachs. Come esempio del passaggio opposto, analogo a quello ora compiuto dall'ex premier britannico, si può poi ricordare la vicenda di Barroso: il quale, terminato il suo mandato presso l'Unione Europea, passò direttamente ai piani alti di Goldman Sachs. Così inteso, l'ordine neoliberale appare come una dittatura finanziaria plebiscitaria: alle masse popolari viene data l'opportunità di votare, con scadenza regolare, per scegliere quali politici di volta in volta mandare in Parlamento a prendere devotamente gli ordini dagli apolidi della finanza; ordini che, ovviamente, tutelano sempre e solo l'interesse del capitale finanziario, che discute in modo tutto fuorché democratico le proprie traiettorie in consessi privati come il Bilderberg. In questo contesto, la parola democrazia non dice altro se non una grande finzione teatrale, che nasconde una realtà sotto ogni profilo antitetica rispetto a ogni autentica democrazia. Se le parole hanno ancora un senso, la democrazia è il governo in cui il popolo decide sovranamente delle proprie sorti: ma oggi a decidere sovranamente sono soltanto i mercati speculativi, che camuffano il loro dispotismo dietro le procedure di una democrazia sorvegliata e amministrata in maniera tale da far apparire pluralistico un ordine che tale non è.
di Diego Fusaro
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