Il popolo non vuole il riarmo? Non importa: “La politica deve saper prendere decisioni anche impopolari” (Poi ci rivediamo alle elezioni)
Mi pare assurdo: si comprano armi per difendere la pace contro i dittatori e poi si creano le condizioni per una rabbia sociale oggi anestetizzata in qualche modo ma che potrebbe scoppiare da un momento all’altro proprio per l’impossibilità di rispettare i livelli minimi di servizi sanitari, ospedalieri e quant’altro
In queste giornate frenetiche di dibattito su quanto costerà questo riarmo e sul perché lo dobbiamo fare, gli avvitamenti di Palazzo producono contorsioni pericolose. Vediamone alcune.
Partiamo da una considerazione che tutti i sondaggisti rilevano: gli italiani (e non siamo gli unici in Europa, a quanto pare) non vogliono la guerra e non condividono un riarmo che costerà un occhio della testa, cioè 700 miliardi in dieci anni. Di fronte a questo comportamento la stessa classe dirigente che non fa un passo senza averlo prima misurato al gradimento popolare, ha trovato la frase mantra per esorcizzare l’impopolarità della scelta: <La politica deve avere il coraggio di assumere decisioni anche impopolari>.
Ovviamente non sono affatto convinti di questa frase e infatti, negli incontri con l’elettorato, la “classe dirigente” si giustifica prendendo le distanze: “Io non sono d’accordo, ma non abbiamo scelta”, “Non abbiamo grandi margini”, “Non toccheremo il welfare e la sanità” e frasi simili. Non sono convinto che la gente si beva queste confessioni, anzi col passare del tempo penso che il malcontento sarà destinato a crescere. Se ne accorgeranno in campagna elettorale e vedremo se manterranno il coraggio delle scelte impopolari oppure si avviteranno in una nuova capriola col rischio di cadere e farsi male.
Come si può credere a un indebitamento mostruoso senza intaccare la spesa pubblica su welfare (pensioni), su sanità o istruzione? Chi è pronto a scommettere che non ci sarà un aumento delle tasse? Io no. Temo che la stessa Europa che chiede di impegnare i conti dello Stato per comprare armi chiederà il rispetto dei soliti vincoli in ossequio alla logica mai tramontata per cui bisogna contenere la spesa su queste voci. Il che mi pare un assurdo: si comprano armi per difendere la pace contro i dittatori e poi si creano le condizioni per una rabbia sociale oggi anestetizzata in qualche modo ma che potrebbe scoppiare da un momento con l’altro proprio per l’impossibilità di rispettare i livelli minimi di servizi sanitari, ospedalieri e quant’altro.
Torniamo però al punto del riarmo e analizziamo le parole di Mark Rutte, un falco che attaccava i paesi del Mediterraneo (i Piigs) colpevoli di essere cicale, oggi a capo della Nato. Nel suo imbarazzante messaggio a Trump ha testualmente scritto che “L’Europa pagherà il suo contributo in modo consistente, com’è giusto che sia (…) Non è stato facile ma siamo riusciti a far sì che tutti si impegnino a raggiungere il 5% del Pil”. In queste parole non c’è alcune visione politica né l’individuazione delle ragioni militari sottese a comprare più armi; c’è di contro la visione contabile, lobbistica mi verrebbe da dire, per cui dobbiamo comprare armi. In parole ancora più chiare, il capo della Nato sta dicendo che non compriamo armi per un pericolo (dopo ci torneremo) ma per assecondare - “Sarà una tua vittoria” scrive Rutte al presidente Usa - l’idea non nuova per cui l’America non è il bancomat della Nato né il finanziatore della pace europea. Trump incasserà una vittoria da girare al suo popolo e un tornaconto a favore delle corporation statunitensi dell’industria militare. Siamo sempre dentro la logica commerciale dell’American First, del saldo della bilancia commerciale che deve tornare a premiare l’industria americana.
A Trump non interessa granché di come i governi spiegheranno l’aumento di tale spesa ai propri elettori, lui vuole incassare il premio. Poiché nessun leader europeo riceverà gli applausi dai propri elettori per aver reso più ricca l’economia americana (dal gas liquido alle armi al resto che vedremo nella trattativa dei dazi), ecco che la macchina della propaganda si è messa in moto per girare la frittata e ingigantire il pericolo russo. Così Putin diventa la minaccia reale dell’Europa baltica, della Polonia e di tutte le democrazie europee contro cui lo Zar non punterebbe i cannoni ma i virus della disinformazione.
Putin non invaderà nessun paese europeo. Quanto alla Polonia, gli elettori di quella nazione hanno appena scelto un leader conservatore e sovranista (quindi putiniano secondo il solito metodo di labeling politico) come presidente della Repubblica; mentre in Romania il volere del popolo che aveva scelto un leader alla Orban è stato resettato con l’annullamento delle elezioni, la “bonifica” del campo nazionalista per la vittoria del candidato gradito all’Europa.
di Gianluigi Paragone