Rutte non molla e ora riesce a imporre il 5% del PIL per il riarmo ai paesi europei, solo la Spagna si oppone
Una scelta sciagurata, che rivela l'essenza della Nato
Il segretario della Nato Rutte non molla. Insiste acciocché tutti i paesi europei portino al 5 per cento del pil le spese per la "difesa", cioè per il folle piano di riarmo voluto dalla signora von der Leyen, sacerdotessa dei mercati apatridi e vestale del neoliberismo belligerante. Come se non bastasse, Rutte, ex premier olandese e attuale segretario generale della Nato, ha presentato nei giorni scorsi l’Assemblea dell’Alleanza all'Aja. La retorica bellica è imbarazzante: gli Stati membri sono pronti - spiega Rutte - a «combattere insieme e, se necessario, a soffrire e morire insieme». Parole inqualificabili, che rivelano la gravità e, insieme, l'assurdità della situazione in cui siamo sprofondati. Voi siete pronti a soffrire e a morire per l'imperialismo dell'Occidente, anzi dell'uccidente? La Nato si conferma, una volta di più, uno strumento imperialistico, il braccio armato della civiltà del dollaro e dei suoi appetiti colonialistici. La Nato continua a parlare pomposamente di difesa, quando in realtà mira soltanto al potenziamento del proprio apparato offensivo e imperialistico. Fin dalla sua nascita, la Nato a questo e non ad altro era orientata, benché si nascondesse dietro la retorica della difesa dalla minaccia sovietica: ma ora che l'Unione Sovietica non c'è più, cade la maschera e la Nato si rivela pienamente funzionale al progetto di egemonia imperialistica made in USA (progetto che naturalmente passa anche dal mantenimento dell'Europa tutta nella piena subalternità a Washington). Di tutti i paesi europei, soltanto la Spagna ha avuto il coraggio di opporsi alla proposta folle di Rutte, dichiarando la propria indisponibilità a portare al 5% del PIL la spesa per la difesa. L'Italia, per parte sua, continua a rivelarsi una colonia subalterna di Washington, pronta a sperperare i denari pubblici per le irragionevoli ragioni della guerra anziché destinarli, come sarebbe opportuno fare, alla sanità pubblica e all'istruzione, al welfare e ai diritti sociali.
Di Diego Fusaro