Guerra Israele-Iran, tra gli obiettivi di Netanyahu quello di distogliere l'attenzione dal genocidio a Gaza e sostituire la guida di Teheran

L'attacco all’Iran raggiunge obiettivi fondamentali per Israele, in una logica che non è più quella della conservazione e difesa di un “focolare ebraico”, ma dell’affermazione di un’egemonia etnico-religiosa fondata sulla potenza militare, tecnologica e mediatica

Non più tardi dello scorso 17 aprile abbiamo scritto che «il premier israeliano Benjamin Netanyahu è pronto a giocare il tutto per tutto, in un momento in cui nessuno è in grado di opporsi alla sua politica di potenza». Non possiamo far altro che constatare che i fatti, ovvero l’attacco israeliano del 13 giugno 2025 contro l’Iran, l’operazione Rising Lion (leone che si erge), confermano purtroppo la nostra valutazione di due mesi fa. Significativo il fatto che giovedì 12 giugno il primo ministro Benjamin Netanyahu è stato fotografato mentre infilava un biglietto scritto a mano in una fessura del Muro Occidentale di Gerusalemme, il luogo di preghiera più sacro dell’Ebraismo. Venerdì 13 il suo ufficio non casualmente diffondeva una foto di questa nota manoscritta, in cui si leggeva: «Il popolo si solleverà come un leone».

L’espressione deriva dal versetto 23,24 del Libro dei Numeri della Bibbia, che recita testualmente:

«Ecco un popolo che si leva come leonessa

e si erge come un leone;

non si accovaccia, finché non abbia divorato la preda

e bevuto il sangue degli uccisi».

Questo versetto fa parte della prima profezia di Balaam, profeta e mago non israelita, in cui egli predice la forza e la potenza di Israele, paragonandolo a un leone che non avrà pace finché non avrà saziato la sua fame, fino all’annientamento di tutti i propri nemici.

La pubblicizzazione, da parte dell’ufficio del premier israeliano, di questo dettaglio, alla vigilia dell’attacco all’Iran, difficilmente è da ritenersi casuale, ed è evidente che si tratta di un chiaro e impegnativo messaggio che viene inviato agli ambienti del cosiddetto sionismo revisionista, coi quali è da tempo schierato il premier: essi vedono nella potenza dello Stato ebraico la base per il raggiungimento della promessa escatologica ebraica, la riunificazione del popolo ebraico ed il suo trionfo finale quale popolo eletto da Jaweh fra le genti.

Un aspetto ideologico questo, lontano certo dalla superficiale indifferenza degli occidentali, del quale si deve tenere conto per comprendere la prospettiva storica nella quale Benjamin Netanyahu si sente di agire.

Del resto l’attacco all’Iran raggiunge obiettivi fondamentali per Israele, in una logica che non è più quella della conservazione e difesa di un “focolare ebraico”, ma dell’affermazione di un’egemonia etnico-religiosa fondata sulla potenza militare, tecnologica e mediatica.

Il primo, più immediato di questi obiettivi è quello di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dal massacro di Gaza, che stava sollevando ovunque una comprensibile ondata di indignazione contro lo Stato ebraico, non più vittima ma carnefice.

Come in precedenza si è giustificata l’uccisione di 60mila esseri umani con l’azione del 7 ottobre 2023, ora si farà dimenticare questa strage in nome della nuova guerra intrapresa contro l’Iran, poiché lo stesso premier israeliano ha dichiarato espressamente che non si tratta di una semplice operazione tattica, ma di una vera e propria nuova guerra.

Bene serviranno a tale scopo i risultati ottenuti da decenni di propaganda anti-iraniana: con coro unanime i media che contano danno per scontato che questo attacco, avvenuto in piena violazione di tutte le norme del diritto delle genti, sia in qualche modo giustificabile. Commettendo in questo un grave errore, per il futuro delle relazioni internazionali, poiché d’ora in avanti qualsiasi operazione militare potrà essere giustificata con la logica della “guerra preventiva”: certamente la Russia di Putin ne farà tesoro, se mai inizieranno delle trattative di pace nella partita Ucraina. Ma questo non è un problema di Netanyahu.

Il secondo obiettivo, storicamente il primo, dello Stato ebraico, nei confronti dell’Iran non è in realtà l’eliminazione del potenziale nucleare iraniano, per eliminare il quale Israele non avrebbe ma avuto bisogno di una guerra: è l’abbattimento del regime iraniano, per sostituirlo con uno favorevole, sulla falsariga dell’Iran dello shah, col quale si era realizzato un asse strategico fondamentale per il contenimento del nazionalismo arabo.

Il terzo obiettivo, connesso al precedente, è quello di neutralizzare l’ostilità residua contro lo Stato ebraico ancora presente nel mondo arabo, dovuta alla strategia di Israele di annientamento del popolo palestinese: un attacco all’Iran, sciita e non arabo, non può certo essere visto con dispiacere da quei superstiti Stati arabi (dopo la disintegrazione di Irak, Libia, Siria), Giordania ed Arabia Saudita, che da tempo temono e contrastano il regime degli ayatollah iraniani.

Visione opportunistica e miope di classi dirigenti che fondano il loro potere sul molto denaro in mano a pochissimi, e sulla miseria di tutti gli altri: infatti, la caduta della repubblica islamica ed un nuovo stato laico filo-israeliano stringerebbe il mondo arabo mediorientale nella morsa ferrea di un’egemonia israeliana su tutto il Medio Oriente. Essa potrà solo provocare nel mondo arabo, come già si è visto, proliferazione di guerre civili, polverizzazione dei tessuti sociali, economici, culturali, dominio del fanatismo e della sopraffazione.

Il quarto obiettivo, davvero importante per Netanyahu, è che questo conflitto compatterà intorno a lui l’opinione pubblica israeliana, capitalizzando un consenso che non potrà che riflettersi su eventuali future prove elettorali, non scontate almeno a breve termine, dal momento che lo stato di guerra si prolungherà a quanto pare indefinitamente. Chi sperava in un rovesciamento dall’interno del governo dell’attuale autocrate, ha probabilmente solo nutrito delle pie illusioni.

Il quinto obiettivo, è l’avere mostrato a tutto il mondo la capacità di Israele di agire indipendentemente dagli Usa, fatto che non può essere assolutamente sottovalutato. I fatti confermano quanto sostenuto da parecchio tempo da chi scrive, vale a dire che da decenni gli Usa hanno delegato allo Stato ebraico l’elaborazione di una strategia politico-militare in Medio Oriente, dalla quale gli Stati Uniti sono ora del tutto dipendenti, grazie alla formazione di una classe dirigente mista israelo-statunitense che di tale elaborazione è protagonista e attuatrice.

L’assenza di visione storico-politica dell’amministrazione Trump è solo l’ultimo tragicomico atto della progressiva subordinazione della politica nordamericana, nella quale il sionismo cristiano ha giocato e tuttora gioca un ruolo ideologico fondamentale, ai desiderata ed alle esigenze ideologiche e geopolitiche di Israele.

Il penoso gioco delle parti delle trattative Usa-Iran, che Israele ha pilotato dall’esterno in maniera a tratti durissima; la pronunzia dell’AIEA, il cui pollice verso nei confronti dell’Iran ha fornito e fornirà ancora in futuro la giustificazione dell’aggressione israeliana; la finzione abilmente giocata del presunto freno statunitense all’attacco – sono tutte dimostrazioni che l’effettivo potere di indirizzo della politica occidentale in Medio Oriente è saldamente nelle mani di Israele. Basti guardare anche, sul nostro versante, alla davvero penosa condotta su questo tema di un governo come quello italiano, per non parlare della cosiddetta unione europea.

In questo contesto a nulla servono i cortei di protesta, con cui abili giocolieri della politica cercano di raccogliere il consenso di tanti ingenui, comprensibilmente scossi dalla gravità di questa catena di conflitti.

Quello che serve, giorno per giorno, con lucidità e precisione, è la dimostrazione documentata della verità dei fatti, ultimo baluardo della libertà di ognuno e di tutti. Questa è la sola indispensabile premessa per una pace equa, che interrompa la catena delle guerre senza fine.

Di Gaetano Colonna