E ora come la mettiamo con Erdogan, il sultano cattivo? La Turchia si è presa tutti gli spazi e lo ha fatto senza sovrastrutture tipo la Ue
La lezione turca insegna questo: se hai una visione e una collocazione geostrategica indispensabile, sei un interlocutore imprescindibile
Ancora una volta c’è Erdogan al centro delle trattative, è lui che mete a disposizione del mondo il tavolo della mediazione. C’è la Turchia del sultano, di colui che fino a poche settimane fa doveva finire fuori dal gioco democratico, condotto da chi autocertifica “dalla parte giusta”.
A Erdogan nessuno ha regalato nulla, anzi a dirla tutta in questi anni si è fatto di tutto per spintonarlo fuori dall’epicentro. Invece lui da lì non si è mosso e a dispetto della geografia ha creato una centralità turca nel Mediterraneo. Erdogan, come vedremo, è presente in tutte le partite dell’area, innerva relazioni, costruisce gasdotti, controlla le situazioni. Ovviamente governa la Turchia, un paese difficilissimo dove noi vediamo solo quel che emerge in superficie senza conoscere il profondo deep state burocratico che invece è il potere. Erdogan, quel pezzo di Stato, lo stava perdendo e lo ha riconquistato poco alla volta, accarezzandolo. Con l’arresto del sindaco di Istanbul Imamoglu sembrava che Erdogan capitolasse, invece il Sultano ha di fatto neutralizzato l’opposizione masticando politica, dentro e soprattutto fuori dai confini. Lo ha fatto senza avere sovrastrutture - tipo l’Unione europea - che gli consentissero sponde; ha giocato la sua partita entrando in tutte le partite, in ogni parte, persino in tavoli che apparivano contrastanti. Lui c’era.
Risultato? La Turchia ospiterà il vertice Russia-Ucraina. La Turchia potrebbe essere la prima destinazione di papa Leone XIV. La Turchia è in Siria ed è nell’incandescente scenario di Gaza; è nell’Africa ed è nei paesi arabi; è persino nei Balcani (e forse sarebbe il caso che l’Unione europea prestasse un po’ più di attenzione). Dalla Turchia passa l’unico gasdotto che porta il gas russo in Europa: gli diamo soldi per l’energia come gli abbiamo dato una montagna di soldi per fermare i migranti impedendo loro la rotta balcanica (appunto). Erdogan amico di tutti e di nessuno, tant’è che è centrale, è il negoziatore pesante e ingombrante nello stesso tempo. Il fronte democratico sperava nella rivoluzione in piazza a sostegno di Imamoglu, ma ha capito che la rete allestita dal Sultano è fondamentale nelle relazioni internazionali, è un pezzo di quell’ordine globale dove il governo di Ankara si è infilato senza che lo invitassero. Questa si chiama politica, e la politica usa ogni leva e ogni bottone della complicata sala macchine.
La Turchia dispone di un esercito potente e geograficamente nevralgico: in Siria - per citare un recente esempio - lo sanno bene. Il personale dell’esercito turco è di 463.000 unità. Si tratta dell’esercito più grande tra i Paesi Nato in Europa mentre, all’interno dell’Alleanza Atlantica, è secondo solo a quello degli Stati Uniti. Il terzo esercito, per numero di soldati, è appunto quello francese. In totale, del personale militare di cui dispone l’Alleanza circa uno su sette dei soldati Nato è turco. Non è solo questione di numeri, ma di posizione geografica. Quella che aveva l’Italia e che, in passato, le ha consentito di essere protagonista senza connessioni troppo asfissianti e vincolanti con gli alleati e quindi di relazionarsi nell’interesse nazionale con tutti, persino coi palestinesi dell’Olp.
La lezione turca insegna questo: se hai una visione e una collocazione geostrategica indispensabile, sei un interlocutore imprescindibile. Guardate Erdogan per esempio con la Russia: si è opposto alle sanzioni e non ha abbandonato l’Ucraina. Oggi è il mediatore.
di Gianluigi Paragone